GIORGIO BONAGA

Giorgio Bonaga ai Giardini Margherita nella squadra delle Vecchie Glorie (foto tratta dal Corriere di Bologna)

 

nato a: Bologna

il: 11/07/1945

altezza:

ruolo: playmaker

numero di maglia:

Stagioni alla Virtus: 1961/62 - 1963/641964/65

(in corsivo la stagione in cui ha disputato solo amichevoli)


 

GIORGIO BONAGA E LA VIRTUS

www.virtus.it - 03/04/2015

 

Accademico, pensatore libero, acuto e mai banale, bolognese che conta senza pretenderlo, affascinante crocevia di scienza e filosofia, convincente senza mai prevaricare. Sportivo vero, naturalmente: per trascorsi, passione e mentalità. Segni particolari? Virtussino nell’anima.

Ci è cresciuto, Giorgio Bonaga, con la canotta e la fede bianconera addosso. In quei favolosi anni Sessanta a metà dei quali approdò anche alla prima squadra. “Stagione 1964/65. Ero “aggregato”, allora si diceva così. Giovane all’ultimo anno tra gli juniores, in prima squadra c’erano Giomo, Calebotta, Pellanera, Alesini, e poi Dado Lombardi che segnava a raffica. L’anno dopo misero dentro Giovanni Dondi Dall’Orologio, che era il figlio del presidente, e la strada si chiuse. Io ero cresciuto nel vivaio, mi ero fatto tutta la trafila fino alla categoria juniores. A quel punto successe che la squadra della GD, che si stava mettendo in luce, ricevette il sostegno di Isabella Seragnoli e sotto l’egida della casamadre Gira fu attrezzata per una Serie B di livello. Finii in quel gruppo, dove ricevetti i miei primi soldi, che mi facevano anche comodo. Fin lì avevo giocato per la gloria, cominciai a farlo anche per “vil danaro”. Roba da 300mila lire al mese, che per un ragazzo di vent’anni erano una bella sommetta”.

Venne fuori lì la famosa litania. “Bonaga è meglio di Raga”…

Già, opera di Tullio e Maurizio Ferro. Noi della GD giocavamo alle 15, prima della Fortitudo. Iniziarono con quella cantilena che richiamava a Manuel Raga, il messicano di Varese, grandi doti atletiche e un’elevazione mai vista. Io molto discretamente cercavo di farli smettere. Perché era chiaro che Raga era molto, ma molto meglio di Bonaga.

Perché, che giocatore era Bonaga?

Diciamo di medio livello, ma con una mia popolarità. Ma soltanto perché ero piccolo… Ero molto veloce, questo sì. Avevo caratteristiche di dinamismo che per quei tempi erano inadatte. Insomma: quasi nessuno aveva un’accelerazione del genere, ma tanto poi dovevo fermarmi, perché era un basket lento. I lunghi, allora, dovevi aspettarli. A Calebotta dicevo sempre: Nino, ti chiamerò “controflusso”, ti trovi sempre in attacco quando difendiamo e in difesa quando attacchiamo. Ma la realtà è che lui era un grande lungo, per quell’epoca.

Dopo, la Virtus è diventata la passione da coltivare.

È rimasta, direi. Come la pallacanestro. Anche se adesso a palazzo ci vado poco e c’è stato un lungo periodo in cui avevo proprio smesso. Lo ammetto, sono uno di quelli che pensano che il terreno che aveva generato Basket City si sia un po’ sgretolato sotto i nostri piedi, e non è colpa di questo o quello ma di un declino generalizzato che è passato anche da qui. Il basket europeo, e quello italiano in particolare, oggi hanno giocatori di livello medio rispetto a un tempo. Giocatori atleticamente fortissimi, intendiamoci, perché questo da noi è diventato uno sport superatletico ma molto meno tecnico. Ripeto, è un problema generale. Non voglio fare l’analista, o esaltare una nazione che non amo necessariamente in tutte le sue espressioni, ma è un fatto che negli Usa l’idea sana è che dovendo catturare il consenso, tutto il mondo che ruota intorno a una disciplina viaggia nella stessa direzione. Da noi una squadra come Siena, vincendo sette campionati di fila, al di là di quello che c’era dietro, ha fatto l’interesse di una sola società, non di un intero movimento, distruggendo piazze storiche.

È un fatto, però, che adesso l’abbiamo rivista alla Unipol Arena.

“La passione non svanisce mai. E penso che Renato Villalta e quelli che lavorano con lui si stiano impegnando enormemente per dare una strada alla Virtus. Sì, mi sono riavvicinato a partire dalla partita in casa con Milano della passata stagione, tra l’altro vinta contro ogni pronostico. E anche quest’anno va così, ogni volta che vado a palazzo vedo la Virtus vincere. A Renato ho detto che mi dovrebbe dare un’indennità da talismano, ma lui dice che i bilanci della società non lo permettono. Me ne farò una ragione...

Cosa le piace, di questa Virtus?

Non pretendo che sia come quella degli anni di gloria. Erano altri tempi, e io sono stato fortunato a vedere da vicino il Paradiso. In questa vedo più continuità rispetto agli anni scorsi, senso del gruppo. Elementi incoraggianti per un tifoso. Ho visto vincere partite casalinghe con carattere, personalità. Poi, magari in trasferta si fatica perché lì per vincere devono funzionare simultaneamente molti fattori, nel basket di oggi se ti siedi per sei o sette minuti dal punto di vista dell’agonismo perdi il treno. Poi, anche se è vero che in generale gli italiani tendono ad avere un ruolo sempre più subalterno, qui c’è attenzione per loro, e un ragazzo come Fontecchio ha potenziale, è già in grado di prendere l’iniziativa e anzi per me dovrebbe farlo con sempre maggior frequenza.

Ha idee su questo basket in difficoltà?

Per affezionarsi a una squadra, occorrono tre condizioni. Che vinca tanto, che valorizzi i giovani, che resti la stessa per diversi anni. Oggi raramente se ne trovano almeno un paio insieme. Manca una formazione. Non solo per i giocatori, ma per dirigenti, arbitri, giornalisti, spettatori. Quella formazione per me si chiama scuola. È la scuola che lavora su centinaia di migliaia di ragazzi, e nei paesi in cui c’è una grande cultura sportiva ha la funzione di crescerli. Mi chiedo, perché le federazioni non fanno una battaglia affinché al posto di una incolore ora di ginnastica a scuola non si insegni davvero lo sport? L’istituto scolastico dovrebbe essere un “supermercato” che offre una base, le società sportive dovrebbero poi avere la possibilità di selezionare, non prendendosi a carico lo sviluppo di un gruppo di ragazzi per forza di cose più limitato nei numeri. In questo modo potrebbero sbocciare talenti veri, ma anche buoni arbitri, buoni dirigenti, buoni cronisti. Una questione di cultura sportiva.

Virtus nel cuore. E il resto del basket?

Faccio parte di un gruppo di fanatici degli Spurs. Io, mio fratello, un gruppo di amici che si buttano giù dal letto di notte per vedere e raccontarsi quella che per me è la migliore squadra del mondo. Attenzione: non sto parlando dei singoli, ma della squadra. Il gruppo.

Il posto dove Ettore Messina ha scelto di allargare gli orizzonti della sua già enorme conoscenza.

C’è buona Virtus anche a San Antonio. Bello, no?

GIORGIO BONAGA, IL TALENTO A BASKETCITY

di Ezio Liporesi - Cronache Bolognesi - 24/09/2021

 

Insigne professore universitario fuori dal campo, fantasista sul parquet, Giorgio Bonaga esordì nei dieci della prima squadra il 4 marzo 1962, una data simbolica, perché Giorgio di Lucio Dalla fu amico, come di tanti altri personaggi illustri di Bologna. Quel giorno le V nere travolsero Vigevano 106-57, con 31 punti di Lombardi, 20 di Pellanera, 16 di Paolo Conti, 10 di Paoletti e Zuccheri, 8 di Alesini, 5 di Magnoni, 4 di Canna e 2 di De Fanti. Purtroppo qualcuno non c'è più, ma sembra quasi di leggere il resoconto di uno degli ultimi ritrovi dei maturi baskettari, splendidamente organizzati proprio da Paolo Magnoni. Bonaga ritrovò la prima squadra nel 1963/64 con qualche amichevole, poi due presenze in campionato nel 1964/65. Ma in quegli anni e in quelli precedenti era stato grande protagonista nelle giovanili delle V nere, a partire dal 1957/58, spesso in coppia con il fratello Stefano. Tanta era la passione dei fratelli Bonaga, che una volta ci scappò anche una manomissione delle date sui cartellini per giocare (ma non rivanghiamo, anche perché ormai i testimoni non sono più tra noi, dal grande virtussino Guido Foschi, a un altro appassionato delle V nere, Italo Vezzali, quella volta avversario che scoprì l'inganno). A metà anni sessanta Giorgio Bonaga lasciò la Virtus, ma intraprese una dignitosa carriera, ma sempre sopra le righe, tanto da vedersi affibbiato uno storico slogan "Bonaga meglio di Raga", paragonandolo all'asso messicano di Varese. Un'idea che venne ai fratelli Tullio e Maurizio Ferro, ben prima che il secondo diventasse giocatore della Fortitudo e poi della Virtus: il Gira GD di Bonaga, che militava in serie B, giocava prima della Fortitudo e i fratelli Ferro erano già sugli spalti e furono colpiti da questo giocatore velocissimo. Anche lontano dal bianconero, Giorgio è rimasto sempre però legatissimo alla Virtus, competente tifoso, ma anche giocatore e allenatore nelle gare di vecchie glorie. Rimane un personaggio talmente emblematico di Basket City, che ancora oggi, dopo oltre mezzo secolo, si narra di episodi che raccontano del suo talento. Come quella volta che in un torneo estivo, nell'ultimo minuto, con il punteggio in parità, volò in contropiede e si ritrovò con un solo avversario come ostacolo per arrivare a canestro: Giorgio, con un'azione più di stampo calcistico, lo superò mandando il pallone da una parte e recuperandolo dopo avere aggirato il difensore dall'altra. Chi assistette a quel gesto sublime rimase di stucco di fronte a un'invenzione che nessun altro avrebbe tentato, soprattutto in quel frangente con il punteggio in bilico. Se la mattina vi trovate a passare per Piazza Santo Stefano lo troverete seduto fuori dal bar attorniato dai vecchi amici, ma non chiedetegli dei suoi trascorsi cestistici, glisserà con naturale modestia, ma invitatelo a parlare del futuro della pallacanestro, perché Giorgio, che fa parte della storia bolognese cestistica e non, è sempre proiettato nel futuro. Non ha da esibire grandi trofei, ha appena sfiorato la serie A, ma Giorgio Bonaga è uno di quei personaggi per il quali Bologna è diventata Basket City, la capitale del basket italiano.