DANTE MONARI

Monari nel giorno del primo allenamento

 

nato a: Bologna

il: 05/02/1961

Stagioni in Virtus: assistente nel 2019/20

DANIELE CAVICCHI

 (foto tratta da www.virtus.it)

Nato a: Bologna

Il: 17/06/1980

Stagioni alla Virtus (come viceallenatore): 2005/06 - 2006/07 - 2007/08 - 2011/12 - 2012/13 - 2013/14 - 2014/15 - 2015/16 - 2016/17

 

 

 

“SONO NATO FOCOMELICO. E SONO FELICE”

di Damiano Montanari - 14/'08/2020


 

Un farmaco, il Talidomide, aveva distrutto il suo presente e il suo futuro. La medicina più potente, l’amore, ha spruzzato gioia su una vita che sembrava destinata all’abbandono e alla sofferenza. Perché per essere felici non serve avere tanto denaro, né macchine di lusso, né una posizione di potere. A Dante, nato focomelico, non sono servite nemmeno le mani ed entrambi i suoi avambracci. Lui ha sempre avuto qualcosa di più prezioso: è stato amato.

Fin dal primo momento, quando il ventre materno gli scaldava il cuoricino, emozionato nel suo piccolo mondo. Così si tesse un figlio, che cresce nella mente dei genitori prima ancora che nel corpo. Anche perché quello di Dante Monari a un certo punto si blocca.

Le ossa lunghe smettono di formarsi. Però i controlli ginecologici vanno bene. E allora?

“Non si preoccupi, signora. Il feto sarà in una posizione particolare. Ne vediamo continuamente di ecografie così. Stia tranquilla. E se le tornano le nauseee, può assumere il farmaco che le ho prescritto”.

Il Talidomide.

Il 5 febbraio 1961, in una stanza della Maternità di Bologna in via d’Azeglio si sente un tonfo, un rumore improvviso, secco e sordo. L’infermiera che sta assistendo Vanda durante il parto è caduta a terra, svenuta. Il medico accanto a lei è stato lesto a prendere al volo il bambino che teneva tra le mani e a deporlo dolcemente sul petto della madre.

“Ecco signora, questo è suo figlio…”, annuncia l’uomo con un certo imbarazzo. Dante non ha le mani. Non ha neanche entrambi gli avambracci. Ed il braccio sinistro è leggermente più corto di quello destro.

Vanda lo guarda, lo sfiora con carezze di seta e lo bacia: “Amore mio”. Il bambino sorride felice. Ha tutto quello che gli serve.

Pure il nome di uno zio morto durante la Seconda Guerra Mondiale. Vanda e Fernando non hanno mai avuto dubbi.

Non li hanno nemmeno due anni dopo, quando la coppia attende un secondo figlio. Non sanno che Dante è nato focomelico a causa del Talidomide, eppure non hanno un minimo di esitazione: la paura non serpeggia nel cuore di chi ama. Durante la gravidanza Vanda ha una folgorazione. E’ dal fornaio, in un negozietto al “Treno” della Barca, il lungo complesso di case popolari che sembra tracciare un sorriso davanti alla Chiesa di Sant’Andrea. Tra focacce e pezzi di pane comune, un nome attira la sua attenzione. Arrivata a casa, lo comunica al marito.

“Se è una femmina la possiamo chiamare così?”.

“Va bene”.

Nel 1964 nasce Beatrice. E sta benissimo. La Commedia dei Monari è veramente Divina.

Per Dante l’amore della mamma si moltiplica. Quando il bimbo compie cinque anni, lei lo accompagna alle Officine INAIL a Vigorso, un paesino della campagna bolognese.

“Con queste posso fare le stesse cose degli altri bambini?”, chiede Dante guardandosi le protesi.

“Certo. Tu puoi fare tutto quello che vuoi”.

Così Vanda gli insegna a leggere e… a scrivere! Basta inserire la biro o la matita nel punto in cui la protesi si chiude, fare un leggero movimento con le spalle e… voilà! Il gioco è fatto!

Non è dello stesso parere il direttore didattico delle Scuole Elementari “Giovanni XXIII”.

Sì, è una scuola pubblica… eh… sì… Vanda ha completamente ignorato i ripetuti consigli di parenti e amici: “Ma ti rendi conto? Un bambino così?? Ma devi mandarlo assolutamente in un istituto speciale!”.

“No”, aveva ribattuto lei con gli occhi fieri di una leonessa. “Dante ce la può fare”.

Lo ripete anche davanti al direttore didattico, che però non demorde.

“Signora, se suo figlio non si inserirà nella classe, sarà costretta a spostarlo in un’altra scuola. Non pensa al contraccolpo psicologico per lui?”.

“Io sono sicura. Mio figlio ce la farà”.

Dante, seduto accanto a lei, socchiude gli occhi gonfi di gratitudine. Ora ne è certo anche lui. Sa che ce la farà.

“Va bene – conclude il direttore -. Risentiamoci prima di Natale e lì faremo il punto della situazione”.

Il primo giorno di scuola la maestra Soverini si dimostra subito una persona fuori dal comune.

“Bambini, Dante ha bisogno di essere aiutato”.

Le prime ad alzarsi sono due angeli: uno biondo, Stefania, e l’altro moro, Lina. A loro si aggiunge Luca. In classe non vola una mosca. Quel bambino con le protesi è uno di loro.

E’ proprio come loro.

“Sai mamma, non mi sento nè diverso, nè arrabbiato. I miei compagni di classe mi vogliono bene”.

I mesi volano, dicembre sorprende tutti con una spolverata di neve, mentre nel suo ufficio il direttore prende in rassegna il primo di una serie di fogli impilati sulla scrivania.

Dante e sua madre arrivano perfettamente puntuali all’appuntamento.

Il sorriso raggiante del dirigente scolastico è già una sentenza. Favorevole.

“Le mamme hanno sempre ragione. Suo figlio si è inserito perfettamente”.

E così Dante esulta, come quando nel cortile di casa segna un gol di sinistro emulando il suo mito Beppe Savoldi o batte un fuoricampo giocando a baseball con gli amici. Segue un programma di “allenamento” molto rigido. Due ore di gioco. La merenda. Due ore di studio. A scuola fioccano voti eccellenti.

“Mamma, mi annoio, la maestra dice sempre le stesse cose”.

“Dante, non ti lamentare. Sei fortunato, se le capisci prima”.

“Sì mamma, hai ragione. Sono proprio fortunato”.

Perché Dante sa farsi volere bene. Da tutti. Dalle scuole medie Certani al liceo scientifico Righi stringe amicizie solide, fino a quando, a 16 anni, decide di svoltare.

Nel primo quadrimestre il voto di matematica è insolitamente basso.

“Cosa c’è Dante? Non hai capito bene un argomento?”.

“No mamma. Sono troppo lento a scrivere nei compiti in classe… Ma da domani le cose cambieranno”.

Dante cammina deciso fino in camera sua. Apre la porta, si toglie le protesi e le infila nell’armadio.

“Ora si cambia vita”.

E’ il tempo delle grandi passioni. Quella per il basket è entusiasmante. Al campetto della Barca, Dante tira (e segna canestri!) a ripetizione. Il suo idolo è il virtussino Roberto Brunamonti. Nella mente si fa largo un’idea: diventare un coach di pallacanestro.

Così abbandona gli scacchi, nei quali eccelle, e si dedica al basket.

Al campo scuola per allenatori del CSI a Castiglione dei Pepoli incontra Giordano Consolini, che diventerà una icona della storia della Virtus. Crede in Dante, sa che non gli servono le mani per realizzare il suo sogno, perché quel ragazzo riesce a fare tutto, pure a giocare a carte alla sera, con i suoi moncherini. Ormai non ci sono più barriere. Alla DLF comincia a seguire la squadra femminile e, conseguito il “patentino” per allenare, conquista la promozione nel campionato di C interregionale.

La sua è una vita piena, anche al lavoro. E’ impiegato in un’assicurazione, al colloquio ha convinto il dottor Nigro con poche parole.

“Monari, lei cosa riesce a fare?”.

“Io riesco a fare tutto, tranne arrivare sopra quello scaffale. Sono 1,63 m, è troppo in alto”.

“Non si preoccupi. Sono più basso di lei e non ci arrivo nemmeno io. E’ assunto”.

L’affetto delle persone che lo circondano fa miracoli. Anche nel momento più buio.

In un cupo lunedì del 2004 Fernando è colto da infarto. Cinque giorni dopo un ictus si porta via Vanda, la donna più importante della vita di Dante: ora è rimasto orfano di entrambi i genitori.

Però ci sono ancora gli amici. Per assisterlo si scatena una gara di solidarietà. Ha bisogno di essere aiutato a vestirsi e ad andare in bagno. Non è mai solo. Nè di giorno, nè di notte. Nel 2010 la pressione sale troppo e deve smettere di allenare, trasformandosi in dirigente. Ma le sorprese non sono ancora finite.

Nel 2017 è l’amico di infanzia Orfeo Orlando, attore e regista, ad offrirgli un’occasione irripetibile.

“Ciao Dante, vorrei lanciarti come attore”.

“Stai scherzando?”

“No, assolutamente”.

“E cosa dovrei fare?”.

“Impersonare un tifoso del Bologna che ha perso entrambe le braccia nella Prima Guerra Mondiale”.

“… Ci sto!”.

Il cortometraggio, “Sono Cesare, ma chiamatemi Mimmo”, è dedicato a un ex calciatore rossoblù. Sul set Dante è perfettamente a suo agio. Il personaggio che interpreta prevede una piccola contestazione alla squadra di calcio.

“Ehi, vi potete impegnare anche di più! Potete anche metterci la gambina, come io ci ho messo le braccia!”.

Gelo. Dante si volta, ammiccando. “Va tutto bene”.

Non ci sono limiti per chi crede in se stesso e così, anche l’ultimo, grande sogno, si avvera.

“Ciao Dante, vorrei chiederti un favore”.

Giancarlo Giroldi, allenatore della Virtus Femminile, ha veramente bisogno di Dante.

“Mi servirebbe un vice per il prossimo campionato di Serie A”.

“… Ho smesso cinque anni fa…”

“Non importa… Io voglio te… Ci stai?…”.

“Allenare in Serie A è il sogno della mia vita. Certo che ci sto!”.

E pazienza se la pandemia ha interrotto il campionato, l’esperienza è stata comunque fantastica.

Come la vita di questo piccolo, grande uomo, che in barba ai pregiudizi, sorride mentre riavvolge il nastro della sua vita.

“Mi chiamo Dante, sono nato focomelico. E sono un uomo felice”.