LA PANCHINA ALLA BOLOGNESE
Storia delle vite - quasi parallele - di Alberto Bucci e Mauro Di Vincenzo, i due allenatori approdati quest'anno sulle panchine di Livorno dopo aver assaporato il profumo inebriante (e pungente) della grande Virtus
di Renzo Marmugi - Giganti del Basket - Dicembre 1985
Attenti, c'è il clan dei bolognesi. Due vite parallele, partite dallo stesso punto, stessa casa madre (la Fortitudo), stesso maestro e modello da imitare (Beppe Lamberti), poi il decollo. E da grandi ritrovarsi a Livorno, a duecento chilometri da casa, a respirare la stessa aria salmastra, a lottare mulinando i gomiti per la supremazia cittadina. Hanno imboccato l'Autostrada del Sole, poi a Firenze giù verso il mare, di corsa rispondere quasi a un richiamo istintivo. è un'invasione bolognese in piena regola, nemmeno si fossero messi d'accordo per far confluire i rispetti destini all'ombra dei Quattro Mori.
Mauro Di Vincenzo, sponda Pallacanestro, quest'anno ha scoperto di avere come cugino sulla sponda Libertas Alberto Bucci. Com'è strana la vita. Un pezzetto della "Dotta" si è trasferito armi e bagagli in riva al mare, all'ombra della Baracchina di Ardenza. Di Vincezo e Bucci, anzi Bucci e Di Vincenzo per rispettare i dati anagrafici, sembra quasi che abbiano volutamente giocato a nascondino, a rincorrersi, a vivere uno accanto all'altro sfiorandosi appena. Bucci, classe 1948, inizia giovanissimo a sedici anni allenando la squadretta allievi dei Salesiani mentre Di Vincenzo, classe 1952, muove i primi passi nel settore giovanile della Fortitudo. Poi, quando in via San Felice si accorgono di Bucci, affidandogli l'incarico di assistente a Dido Guerrieri in prima squadra, il futuro medico del basket italiano è già andato via. Gioca ancora, in serie B, naturalmente in quel macrocosmo che è Bologna, dopo aver assaporato di sfuggita l'odore della A nei tornei estivi. Lamberti, Gary Baron Schull, Sgarzi, Stagni. Nomi e volti familiari, ma i veri compagni d'avventura del Di Vincenzo guardia nel giro sono altri: Calamai, Magnoni, Bosini. Quintetto base, qualche domenica di gloria, poi un cambio di allenatore fa franare tutto. Col nuovo coach non s'intende e lui non ci pensa un attimo, appende le scarpe al chiodo. Lo chiama la casa madre, la Fortitudo, per il settore giovanile ma nel frattempo Bucci è emigrato sull'adriatico, a tentare di restituire una credibilità sportiva a Rimini. Operazione riuscitissima, in cinque anni dalla serie D alla A", mentre Di Vincenzo firma un miracolo analogo a due passi da casa, nel Malaguti di San Lazzaro. Dalla Promozione in "B", un biglietto da visita che la Fortitudo (ancora lei!) afferra al volo offrendogli la sua panchina in A1. è l'anno di Starks e Jordan, Bertolotti, Ferro e Anconetani, cinque-uomini-cinque che stupiscono l'Italia "vincendo entrambi i derby, perché il secondo ce lo rubarono nel supplementare dopo aver convalidato un canestro della Virtus segnato fuori tempo massimo", puntualizza l'interessato.
Poi, il futuro "doctor" a 29 anni fa la prima scelta contro corrente della sua vita. "Dovevo ancora laurearmi, la medicina mi piaceva quanto la pallacanestro, e non volevo mollare. L'ammirazione per Nikolic e il suo avvento alla Virtus mi hanno spinto al grande passo. Ho lasciato un posto da head coach alla Fortitudo per diventare assistente, chi l'avrebbe fatto? Ma la possibilità di completare gli studi e l'esperienza in un grande club accanto ad un grandissimo allenatore erano tentazioni troppo forti. Era un investimento, contratto biennale, e mi sono buttato. Un ruolo forse oscuro ma formativo, e anche rischioso. Perché in America a scegliere i due stranieri hanno mandato me, e i sono tornato a Bologna con Rolle e Frederick. Un anno di passione, i rapporti fra Nikolic e Porelli si deteriorarono quasi subito. Io ero fra due fuochi, stretto in mezzo fra un coach da ammirare e il datore di lavoro. Poi c'è stata la parentesi Bisacca, un personaggio inizialmente affascinante ma che dell'Italia e del nostro basket non conosceva una virgola, pur avendo un figlio che lavorava all'Accademia delle belle Arti a Firenze. Così, dopo la sconfitta di Livorno all'undicesima partita, fu esonerato. E venne il mio turno".
"Bisacca cade dalla panchina e dall'autobus" titolava il quotidiano bolognese all'indomani del licenziamento in tronco, arrivato puntuale insieme a un gambone di gesso. Di Vincenzo si rimbocca le maniche, ricuce lo spogliatoio, ridà animo e fiducia a giocatori come Bonamico, Fantin e Generali usciti a pezzi dall'esperienza con l'allenatore "bluff" e finisce la stagione in crescendo: "Diciotto vittorie e sei sconfitte, il bilancio della mia gestione fu quello. Pensavo di restare, invece la società ha deciso diversamente. I motivi? Mai saputi, forse li conosce solo l'avvocato Porelli".
Ma la sfortuna di Di Vincenzo, che si sposta a Treviso, è la grande occasione di Alberto Bucci. Anche lui arriva in casa Virtus sospinto dal vento della nouvelle vague: ha 34 anni e nel portafogli il ricordo freschissimo della splendida cavalcata di Fabriano, un giocattolo meraviglioso costruito con pochi soldi e tanto amore fino al traguardo della A1. Porelli si convince e lo chiama: "Arrivare alla Virtus" dice "significa toccare il cielo con un dito. è un grande club, il punto d'approdo, una società di vertice".
Buonissimo rapporto coi giocatori, un sottile lavoro di psicologia e i risultati sono subito eclatanti: scudetto e Coppa Italia al primo tentativo. Arriva quella "stella" che le maglie bianconere aspette3vano da quattro anni e lui diventa l'allenatore più giovane che mette le mani sul titolo. Un po' come sbancare il casinò entrando con diecimila lire in tasca. Il resto è storia d'oggi, piena zeppa di disgrazie e poi lo sbarco a Livorno per frustare i pigri purosangue della Libertas caduti in A2, mentre Di Vincenzo ha preso l'ascensore insieme ai suoi terribili "pierini".
Anche in questo caso con Bologna c'è un divorzio strano, contorto, difficile da decifrare. Bucci è sincero: "Alla Virtus stavo bene, coi giocatori ho passato due stagioni bellissime, dispiace andar via quando hai l'approvazione della platea e la squadra capisce, nello spogliatoio c'è l'atmosfera ideale".
Già, ancora lui, Gianluigi Porelli, quasi un padre-padrone delle V nere. "Ha una laurea in legge, grande cultura, intelligenza, capacità di vedere lontano e forse questo in certi momenti lo porta a prendere decisioni da assolutista. Nel mio caso comunque sul piano giuridico aveva ragione lui. Il contratto che legava Bucci alla Granarolo conteneva una clausola, quella che dava un mese di tempo alla società per poter sciogliere il rapporto prima del terzo anno. E l'ha fatto".
Rimpianti? Rabbia in corpo? Un lavoro che senti dentro come qualcosa di incompiuto? Bucci si conferma uomo cristallino, d'altri tepmi: "Certo che tornerei, a Bologna ho lasciato tanti amici, uno scudetto a 35 anni essendo semplicemente Alberto Bucci, e se qualcuno crede che per allenare la Virtus abbia dovuto castrarmi, condizionare la mia personalità si sbaglia di grosso. Non ho fatto il dittatore, sarebbe stato troppo facile, ma ho scelto la via del dialogo, quella più rischiosa. E quando in squadra ci sono giocatori come Villalta, Brunamonti, Bonamico, Fantin eccetera non li puoi convincere raccontando la favola di Cappuccetto Rosso. Capito?".
Il tasto revival, un ritorno al futuro Di Vincenzo lo sfiora appena: "Non ho remore, la Virtus mi ha dato la possibilità di lavorare accanto a un maestro come Nikolic, di essere alle dipendenze dell'avvocato Porelli, un modello sul piano professionale, e soprattutto di agire in un grande club. Alla mia età ho già la fortuna di trovarmi alle spalle esperienze così importanti, rispetto a tanti colleghi non mi posso lamentare. Se tornerei a Bologna? Sì, in quanto società di grosso calibro, ma non a certe condizioni. Mauro Di Vincenzo uomo e allenatore devono continuare a esistere, sempre".
Centottantamila abitanti, due squadre in eterna lotta per la leadership cittadina, essere al timone di Pallacanestro e Libertas è davvero un'esperienza unica. "A Bologna" la prola all'ultimo venuto "le gerarchie sono già consolidate, il campionato della Yoga si condensa tutto nel derby, mentre per quelli della sponda Granarolo è semplicemente una tappa del campionato totale. La pressione psicologica della piazza si fa sentire, la città è molto esigente, devi abituarti, ma anche Livorno non scherza. Sono appena arrivato e devo ammettere subito che qui la gente vive di basket, c'è un pubblico meraviglioso, instaurare un feeling è stato facilissimo".
Il primo saluto, una vigorosa stretta di mano e i due concittadini si sono capiti al volo. Allenamenti a porte chiuse, salvo poche eccezioni ("Una decisione dolorsa, ma i tifosi devono capirci, è un modo per lavorare meglio, siamo più concentrati"), e l'idea di sdrammatizzare il fenomeno derby facendo qualche partitella infrasettimanale fra cugini, naturalmente senza pubblico e in date rigorosamente top-secret. Roba tra bolognesi, insomma. Un segnale di maturità, una conquista, un deciso passo avanti.
Allenare a Livorno insomma non è solo un conto in banca che aumenta. Di Vincenzo alza la voce: "Scherziamo? Io mi sono innamorato a prima vista. Livorno come Pesaro e Bologna, tanto per citare altre due realtà che conosco, è una piazza dove un allenatore si sente di fare qualcosa d'importante per tutto l'ambiente in cui vive. Sono d'accordissimo con Bianchini quando dice che bisogna 'capire il territorio', inquadrare la professione nel contesto che ti circonda, leggere le aspirazioni della gente. La Pallacanestro è una società di estrazione popolare, rappresentiamo i portuali, gente che lavora, che sta in banchina a scaricare dai cargo. Gente con le mani rozze, che lotta quotidianamente e quando viene al Palasport deve potersi identificare nella squadra, non sopporterebbe l'idea di vedere giocatori che non lottano, non li sentirebbe suoi. Anche gli acquisti di Albertazzi e Lanza sono venuti in questa ottica. I vecchi elefanti non mi interessano, è molto meglio, essere in A1 con un gruppo di quasi esordienti ancora acerbi e inesperti ma animati da una grande volontà. E se riusciremo a salvarci con i vari Aldi, Bonaccorsi, Tosi e Pucci la società potrà essere contenta di avere davanti a sé dieci anni di vita tranquilla. Senza campioni, però con un nucleo tutto suo, creato dal vivaio".
Anche Bucci è entusiasta dell'approdo toscano: "Sono un tipo che si lega sempre moltissimo alle città, agli ambienti e Livorno conferma la regola. Ho già molti amici, dentro e fuori dal basket. La squadra va benem dialogare coi ragazzi è stato facile, mi sento proprio giovane, come uno di loro. Ma poi, quando c'è da lavorare, ognuno al suo posto, bisogna conoscere il proprio ruolo. Perché rispetto e stima reciproca sono la base di ogni rapporto che duri nel tempo. In dodici anni di panchina ho cambiato pochissimo, Rimini, Fabriano, Bologna e ora Livorno. Il mio sogno? Rimanere per cinque anni, guidare la Libertas nelle "final four", tra le quattro pretendenti allo scudetto. Ho fatto una tabella che prevede tre punti: promozione immediata, assestamento in A1 e poi, gradatamente, aiutare i talenti di questa squadra a crescere. Allenare Fantozzi, Tonut, Carera, Forti e compagnia per un coach vuol dire molto, significa la soddisfazione di avere tra le mani una macchina in evoluzione, che andrà sempre più forte se riuscirai a guidarne lo sviluppo. Ho firmato un contratto per due stagioni, ma già dal primo ho capito che a Livorno varrebbe la pena di restarci almeno cinque anni...":
Di Vincenzo, poco più in là, mette la ciliegina finale: "La cosa più bella per un allenatore è andar via da una città non per un fatto di risultati, ma per saturazione di stimoli, perché il ciclo che avevi cominciato è ormai al capolinea. Mi piacerebbe tanto concludere la parentesi triennale a Livorno così, naturalmente, perché la fase dei ragazzi d'assalto da condurre alla maggiore età è finita. Un sogno nel cassetto? Andare via lasciando due squadre in A1 e un Palazzone da diecimila posti nuovo di zecca. Forza Bucci, sbrigati a venire in A1, che noi per restarci faremo anche l'impossibile. Cari livornesi, il vostro elisir di lunga vita nel basket è questo. Una rivalità corretta, leale è stimolante, costruttiva, mantiene vivo l'ambiente, ti obbliga a migliorare giorno dopo giorno. E speriamo che chi di dovere comprenda la necessità di un ... è un nodo scorsoio, una strozzatura da eliminare alla svelta. Al prossimo derby in A1...":
Alberto Bucci sorride e approva. Attenti a quei due.