TIFOSI FAMOSI
Lucio Dalla ha un passato da cestista
L’INTERVISTA DEL MESE: LUCIO DALLA
di Dario Colombo – Giganti del Basket, marzo 1980
La cosa, in genere, funziona così. Non appena la Sinudyne passa in vantaggio Lucio Dalla si alza dalla sua poltroncina nelle immediate vicinanze della panchina degli ospiti e, rivolgendosi al signore che sta seduto tre posti più in là, gli urla: “Tobia, sto raccogliendo delle firme per non farti più entrare al palazzo, dal tanto che sei incompetente. Guarda qui che squadra!”. A quel punto il volto di Tobia si fa ancora più rosso, i muscoli facciali si tendono tutti come corde di violino per poi esplodere sistematicamente in un: “Fuori la pilla, io non faccio mica delle storie, se sei così sicuro di questa squadra tira fuori la pilla e scommetti sul risultato finale”. La pilla, per chi non l'avesse capito, sono i soldi, la lira, il vile denaro. Tobia, invece, è il nome del manager di Lucio Dalla, il cantautore dell'anno, l'uomo che ha ricreato il mito del cantante italiano di successo, considerato già bell'è morto e sepolto. Ma, molto probabilmente, la parte più ingrata e pesante del suo lavoro il bravo Tobia non la fa quando si mette al tavolo di Gianni Ravera o di qualche importante personaggio della RCA piuttosto che della RAI-TV, bensì proprio la domenica quando, dalle 17,30 in avanti, Lucio Dalla si siede nella sua poltroncina di fianco alla panchina degli ospiti ed inizia la sua ora e mezza di sofferenza per la Sinudyne. Da quel momento Tobia non è più un manager ma un parafulmine: è su di lui che si scarica tutta la tensione, la gioia e il dolore che il basket ogni domenica procura al piccolo grande Dalla. "Perché Tobia lo fa apposta a tifare per tutto quello che non è bolognese" si arrabbia il cantante "senza capire che questa è la più grande squadra che il basket italiano potenzialmente abbia mai avuto". "Lui pensa che io ce l'abbia con la Sinudyne" confessa Tobia "ed invece non si rende conto che io lo faccio per cercare di riportarlo entro i confini dell'obiettività, che lui supera abbondantemente ogni volta che entra al palazzo. Ditemi voi come si fa a dire che questa è la più grande squadra che il basket italiano abbia mai avuto...". E la faccenda va avanti in questi termini anche nel dopo-partita, quando in genere si finisce tutti alla corte del bravo "Cesàri" (con l'accento sulla à, mi raccomando) dove, davanti ad un piatto di lasagne ai funghi, la, discussione può arrivare a sfiorare anche la zona match-up o l'attacco shuffle. Perché la verità vera, non quella di Dalla né quella di Tobia, è questa: nel metro e sessanta di altezza del cantante Lucio Dalla è condensato il prototipo, il modello super raffinato e privo di contaminazioni dello sportivo bolognese e più in particolare del tifoso di basket bolognese. Nessun argomento cestistico per lui è tabù, la competenza viene data come per scontata e direttamente legata al fatto di vivere a Bologna. Una competenza, però, che deriva dall'amore viscerale per questo sport: e se sulla prima si può discutere ed avere qualche dubbio sul secondo, chiunque conosce Dalla, dopo cinque minuti sarebbe pronto a mettere la mano sul fuoco. L'unico poster che una rivista di musica ha dedicato al cantautore bolognese lo ritrae in tenuta da basket, maglia, pantaloncini, adidas e l'immancabile basco. Perfino un settimanale austero come l'Espresso, che a Dalla ha riservato una copertina e un'intervista a firma Giorgio Bocca, non ha potuto fare a meno di pubblicare una sua foto in mezzo ad un gruppo di giocatori di basket. E allora?
"E allora la verità è che io sono un grandissimo giocatore di basket, un talento naturale incredibile” afferma Dalla. “Ci sono dei momenti in cui davvero faccio delle cose notevoli. Fino allo scorso anno, quando giravo per i palazzi dello sport a tenere dei concerti, portavo sempre la roba e stavo delle ore da solo sul campo a tirare. Ho delle medie notevolissime, anche dalla grande distanza: una volta a Cantù, Lienhard mi è testimone, feci un 10 su 11 da otto metri impressionante”.
Allora la Sinudyne ha risolto un eventuale problema del playmaker? “Mah, sicuramente no, perché la mia statura è quella che è e quindi come giocatore sono ormai tagliato fuori. Rimango comunque un grande allenatore e non è escluso che per sfizio, se me lo posso permettere, prima o poi lo faccia. Capisco sempre in anticipo le cose che stanno succedere in campo. Ho inventato uno schema che ho chiamato 'Rollerball' che non esito a definire rivoluzionario: lo stesso McMillian, a cui l'ho spiegato, mi ha detto che molte squadre pro americane adottano qualcosa di simile. Comunque per ora non posso anticipare niente perché sarà la grande rivelazione della mia squadra di amici nelle prossime partite…”.
Dalla al posto di Driscoll: cosa avresti fatto? “Mah, sai, è difficile, anche perché in un anno sono scoppiati alla Sinudyne tanti problemi che normalmente non si presentano in tre anni. La condizione di Bertolotti, gli infortuni, le polemiche interne… Più che un problema tecnico quello della Sinudyne è un problema psicologico: ed è questa forse l'unica cosa in cui per me difetta Driscoll. Mi sembra che manchi di quella aggressività e di quel temperamento che sono indispensabili al giorno d'oggi per guidare una grande squadra. Diciamo che per me il tipo ideale per la Sinudyne potrebbe essere Lombardi. Non lo dico perché io sono stato uno dei suoi più grandi ammiratori quando era giocatore, ma perché mi sembra che tutto sommato un tentativo si potrebbe fare. Certo, lui ha anche delle altre caratteristiche che probabilmente creerebbero dei problemi di natura diversa: però mi sembra che il gioco potrebbe valere la candela”.
E comunque tu che modifiche porteresti a questa squadra? “Facciamo due discorsi. il primo è quello dei giocatori che uno ha sempre sognato e che vorrebbe vedere nella sua squadra anche se sa che non li avrà mai: e allora dico Meneghin, dico anche Sacchetti, uno che mi è sempre piaciuto. Poi c'è l'altro discorso, quello della squadra ideale sì ma non troppo: magari con un po' di buona volontà la si può fare ed anzi, potrebbe anche verificarsi che si faccia. E qui dico un’auspicabile formazione della Sinudyne 1980-81, qualora restasse uno straniero: Tom McMillen, Bonamico, Villalta, Caglieris e Ferro”.
Ferro? “Ferro è una mia scoperta di alcuni anni fa, quando ne parlavo tutti mi ridevano dietro, adesso è uno dei giocatori più spettacolari del campionato. Si muove come un americano, ha un talento cestistico superiore alla media, ha un grandissimo equilibrio psico-fisico: manca ancora un po' in difesa. però già rispetto all'anno scorso ha fatto dei progressi notevolissimi. Avrebbe bisogno per venir fuori completamente di un grande allenatore, perché McMillen, pur bravissimo, forgiatore di giovani non è. Probabilmente se alla Mercury ci fosse ancora Nikolic, Ferro sarebbe già diventato da tempo un uomo da nazionale”.
Allora non è vero che il pubblico di Bologna è così competente come si vuol far credere, se solo tu ti sei accorto di Ferro… “Io giro anche per gli altri campi d'Italia e devo dire che, rispetto alla media, il pubblico di Bologna è un pubblico attento. Però, avendolo giocato e seguendo il basket con un'attenzione assolutamente critica, cioè non partecipante nel senso negativo del termine, devo dire che sono in pochi anche a Bologna a saper dire 'ecco stanno difendendo a zona', 'ecco quello è un buon difensore' e via dicendo. Del resto io preferisco il basket in assoluto a tutti gli altri sport proprio perché presenta questa vasta gamma di situazioni per cui non ti puoi fermare soltanto al risultato, anche se è quello che conta. In una partita ci sono tanti momenti che nel calcio e nel ciclismo per esempio non ci sono o sono due-tre, contro i cento che si possono vedere e scoprire in un incontro di basket. Ed è proprio facendo riferimento a questa capacità di scoperta che dico che anche il pubblico di Bologna, pur avanti rispetto a quello di altre città, ancora competente in maniera definitiva non è”.
Lucio Dalla: fino a che punto il basket è uno spettacolo in assoluto e fino a che punto non hanno contribuito a renderlo tale gli stranieri? “Devo dire, francamente, che fino a qualche anno fa ero abbastanza polemico e contrario alla presenza degli stranieri, soprattutto di due per squadra. Anche per delle ragioni sentimentali: io sono amico di gran parte dei giocatori italiani e mi sembrava poco bello il fatto che loro venissero confinati in una posizione di secondo piano rispetto ai giocatori stranieri, in tutti i sensi. Poi invece sono successi alcuni fatti che mi hanno costretto a cambiare idea e a rivedere la mia posizione generale nei confronti del problema stranieri. Uno di questi fatti è stato per esempio l'arrivo di Jim McMillian a Bologna. L'inserimento di McMillian è stato un fatto sconvolgente perché lui ha dimostrato che si può fare nel primo tempo 7 su 7 e poi nel secondo decidere di fare solo degli assist ai compagni senza che per questo il gioco, lo spettacolo ne risentisse: e allora ti rendi conto che il tutto va rapportato al valore degli stranieri che hai. Con un americano come lui anche i giovani vengono valorizzati ed hanno la possibilità d'apprendere delle cose utili, con altri americani invece la situazione mi dà onestamente fastidio”.
Ma allora, vedendo le cose da questa prospettiva, ti va bene qualsiasi soluzione politica: due americani, due americani e un oriundo, tre oriundi e via dicendo… “Io sono un uomo di spettacolo, quindi l'unica cosa che secondo me conta alla fine è la capacità di una squadra di produrre uno spettacolo all'altezza. Siccome io tengo alla promozione del basket al pari di tutte le altre cose che mi stanno a cuore, penso che solo attraverso un aumento dello spettacolo si possa accrescere il livello di diffusione del basket, pure già alto. Per esempio io troverei altamente qualificante e positivo il fatto che qualche società riuscisse a mettere assieme una squadra fortissima, strepitosa, con dieci fuoriclasse, che s'inserisse a livello promozionale in tutto quello che già si sta facendo, anche se il basket ha già raggiunto livelli addirittura superiori a quelli che le sue strutture in teoria gli potrebbero permettere. Questo, però, lo ripeto, non deve togliere stimoli a tutte quelle iniziative che possono servire ad aumentare lo spettacolo. Una delle ragioni per cui mi sono riavvicinato alla Mercury sta proprio nel fatto che la squadra di McMillen offre un grandissimo spettacolo, cosa che invece non ha mai fatto la Sinudyne quest'anno. Questo deriva dal fatto che i due americani della Mercury sono due buoni americani; che non soffocano il ruolo e la personalità degli italiani; che infine tutti hanno la mentalità giusta per produrre spettacolo. Loro infatti giocano per vincere ma per vincere facendo spettacolo: invece la Sinudyne non fa nascere niente, se si esclude forse Cosic che è uno showman. Io lo chiamo "Cimiteria" perché lui è sicuramente il giocatore più improbabile che si sia mai visto: eppure inventa delle cose bellissime, delle volte lo sento venire avanti in contropiede cantando, insomma è l'unico che possa suscitare dell'entusiasmo nel pubblico, il quale altrimenti deve affidarsi a leggere tra le righe di una partita gli eventuali motivi di soddisfazione”.
Ma allora questo amore viscerale per la Sinudyne…? “È un amore assoluto, fin da quando avevo 11 anni tifavo Virtus, per me vederla giocar bene è come ritornare ad avere 11 anni, è come se mi ricrescessero i capelli… Eppoi, al di là di tutto è una squadra fortissima, non ci sono discussioni su questo”.
Quanto conta Dalla nella Sinudyne? “No, niente per l'amor di Dio. Sono buon amico di Porelli, ma non ne approfitto. Ecco, senza voler far torto ad altri dirigenti, Porelli è un uomo che ha sempre avuto come obiettivo quello dello spettacolo da migliorare, da creare quando era il caso. Credo che lui sia avanti dieci anni rispetto agli altri. Adesso abbiamo concepito una cosa assieme, una specie di basket-spettacolo da mettere a punto e di cui per ora non posso rivelare altri particolari”.
Perché? “Perché altrimenti ce lo copiano a Milano…”.
Allora rimane questa gelosia, questo complesso nei confronti di Milano… “Non è gelosia, è una rivalità che tra l'altro fa benissimo: a Milano ci sono tifosi della Sinudyne, a Bologna ci sono tifosi del Billy come Tobia: è un modo come un altro per instaurare dei rapporti, dei legami tra la gente”.
Dal particolare all'universale: ci si ritrova a parlare di legami tra la gente in nome dello sport, proprio nel momento in cui lo sport sta per essere usato come arma di divisione tra i popoli… “Guarda, io sono filoamericano, per una certa tradizione apparentemente irrazionale, legata alla musica, al basket, perché penso che gli Stati Uniti siano una nazione democratica: però se loro mi boicottano le Olimpiadi è il più grosso scandalo che si sia mai visto. Ma come: mi vengono a parlare di distensione e poi fanno una cosa di questo genere che è contro qualsiasi concetto di distensione. Boicottare le Olimpiadi non ha alcun peso politico né alcun senso civile. Del resto, il pensare che questo tipo di azione possa svolgere una funzione propagandistica efficace all'interno dell'Unione Sovietica è un'illusione bella e buona: l'URSS ha ormai collaudato dei meccanismi di oppressione e di limitazione delle idee tali per cui è certo che anche questo tipo di propaganda verrebbe in qualche modo fuorviato e limitato. Quindi il tutto si risolverebbe in un'azione di propaganda interna al mondo americano e a quello occidentale più in generale”.
Ma tu ci credi ancora a queste Olimpiadi o no? “Io non ho mai creduto al significato mitologico dello sport e quindi ad un certo modo di presentare anche le Olimpiadi. Credo per che lo sport possa essere un'arma incredibile di aggiramento di taluni blocchi altrimenti considerati insormontabili, quando si faccia riferimento però all'uomo-atleta nudo, non rivestito di ideologie, preconcetti e via dicendo, ma dal puro e semplice desiderio di superare un suo simile, di soddisfare un'esigenza antropologica che è innata in ciascuno di noi e che nello sport può trovare la sua collocazione più adatta”.
Questo è dunque il motivo principale per cui tu vivi in un certo modo lo sport oppure il tutto trova origine anche nell'ambiente in cui sei cresciuto e vivi tuttora? “Il mio rapporto con lo sport nasce da un fatto ben preciso e cioè dal vivere a Bologna. Questa è sicuramente la città più sportiva d'Italia: per quanto riguarda il basket posso dire che non c'è quartiere che non abbia i suoi due-tre campi più o meno coperti, in cui magari c'è sempre un tabellone da sistemare ed un cerchio da sostituire ma che però sono meglio di niente. Noi - intendo io ed i miei amici - abbiamo cambiato almeno trenta volte il cerchio dei canestri sul campo dove giochiamo in collina: lo mettiamo e di notte ce lo rubano, però chi se ne frega: quando vogliamo giocare non dobbiamo far altro che comprarne uno nuovo ed il campo c'è. idem per i campi da calcio, da tennis e via dicendo. inoltre tutti i miei amici sono della mia stessa generazione, hanno iniziato a fare sport assieme a me quindi sentono quello che sento io, vivono le mie stesse emozioni, assieme a loro continuo un certo discorso iniziato tanti anni fa. Per tutti noi la domenica è magica, ma non perché si va a vedere il Bologna o la Mercury o la Sinudyne: ma perché crea fenomeni di aggregazione che sono assolutamente irripetibili. Poi magari si evolvono in forma violenta: però anche questo se vogliamo è comprensibile, fa parte del gioco, perché è falsa la retorica pacifista che si porta dietro da sempre il mondo dello sport. Quest'ultimo è per sua natura antagonismo, lotta, tentativo di supremazia: e talvolta è inevitabile che degeneri”.
Eppure nelle tue canzoni non c'è traccia di questa passione, il basket per esempio non è mai comparso. “Io penso che due amori così grandi come quello per la musica e quello per il basket non vadano contaminati. Mi piace tenerli separati, continuare a pensarli così come li ho pensati finora senza crearmi il problema di farli stare assieme. Del resto c'è stato chi ha scritto una canzone sul basket: è stato Baglioni, con "Il pivot", una canzone tra l'altro molto bella”.
E però il basket ha influito e influisce sulla tua vita di cantante: dicono che organizzi le tue tournée in modo da trovarti a cantare nelle città dove gioca la Sinudyne… “Di sicuro c’è una cosa: che per il periodo dei playoff io non prendo impegni. Poi se posso cerco di trovarmi dove gioca la Sinudyne, altrimenti vado a vedere anche altre squadre”.
Non hai mai temuto di compromettere la tua figura di cantante almeno presso i tifosi avversari della Sinudyne? “No, nel modo più assoluto. La gente vede che io giro per tutti i campi, sono uno a cui piace in fondo in fondo il bel gioco, lo faccia il Billy o la Sinudyne. Quindi i tifosi di Varese che qualche anno fa sfasciarono la macchina (tra l'altro di un mio amico) con cui ero andato alla partita, dimostrarono di non aver capito niente del Lucio Dalla tifoso di basket: allora cosa dovrei fare io con l'auto di Tobia, che viene al palazzo per tifare contro la mia Sinudyne?”