FOLLIE DA TIFO

 

Il tifoso virtussino è un po' diverso dagli altri:

sarà che ha vinto tanto e che quindi - come tutti i vincenti - spesso risulta antipatico;

sarà che nasce in una città dove l'accesa rivalità con la Fortitudo ora e il Gira prima ha creato un "clima speciale";

sarà per la goliardìa caratteristica di una città sede universitaria storica.

Per tutti questi motivi il tifoso virtussino ama sfoggiare il palmares della squadra ad ogni piè sospinto (ci chiamano per questo "bachecari") e possibilmente prendere in giro, in particolare i concittadini di fede opposta, con una sana cattiveria sportiva. Emblematico in questo senso il sito del Coniglio Bianconero al quale fa da contraltare analogo sito fortitudino.

festeggiamenti per lo scudetto, una scena piuttosto consueta in casa Virtus (foto tratta da "EuroVirtus")

FOLLIE DA TIFO VIRTUS

tratto da DERBY! FORTITUDO-VIRTUS STORIA DI UNA RIVALITA' SENZA FINE

 

Goliardate, trovate ad effetto e sfottò fanno parte anche della cultura virtussina. Le cui frecciate sono mediamente più sottili, dallo humor più anglosassone, ma non per questo meno efficaci. Ecco una carrellata di alcune perle del tifo bianconero degli ultimi anni. Se il derby è una sfida ai massimi livelli, il popolo virtussino la accetta, tutt'altro che passivamente:

 

  • 1989, lo sponsor fortitudino Arimo, che produce indumenti intimi, ha nella sua campagna un paio di mutande da uomo e lo slogan "Arimo veste l'intimo". I Boys virtussini al derby espongono la loro versione su striscione: "Arimo veste l'intimo per coprire i coglioni".

  • 1993, la Virtus vince il derby ci Coppa Italia 101-60. Escono le t-shirt con gli slogan "+41, la Grande Febbre" e "-41, la Grande Glaciazione"; sono le risposte al "Grande Freddo" fortitudino di quattro anni prima.

  • Derby della fase ad orologio, stagione 1994/95. Coreografia imponente e azzeccata: "è sempre l'ora delle V nere" dice una scritta sotto un enorme orologio disegnato sul bandierone che copre tutta la curva. Al posto di ogni ora c'è infatti uno scudetto e a quel tempo la Virtus ne aveva giusto 12.

  • Le migliori coreografie dei tempi recenti. Curva coperta di cartoncini azzurri, con le facce dei 10 giocatori che emergono da grandi stelle gialle, come da bandiera europea (è il playoff di Eurolega). L'intero PalaMalaguti che mostra la scritta "Kinder" aprendo il giornalino sociale alla doppia pagina centrale: semplice, ma di effetto.

  • Esempio di uso "abusivo" della F di Fortitudo in striscioni di dileggio: "Figli di un basket minore", "buone Ferie", "Ciao GuFi" (a Barcellona), e "Falliti" (dopo gara5 scudetto '98) tutti con la lettera F in bella evidenza dentro lo scudo.

  • Dedicata ad uno dei figli di Seragnoli che avrebbe chiesto Dominique Wilkins come regalo di compleanno: gigantografia di Pamela Anderson molto poco vestita, e enorme sottoscritta: "Me la compri papà?"

  • Stagione 1998, compare nel parterre Virtus anche un sosia di Giorgio Seragnoli. Piuttosto somigliante, abbronzatissimo, maniche della giacca arrotolate, facile bersaglio di lazzi.

  • Eurolega '98, la fantasia virtussina si scatena. Dopo i fax e le t-shirt commemorative del 2-0 nei quarti, come promesso da Barcellona piovono sui bolognesi rimasti a casa centinaia, migliaia di cartoline zeppe di sfottò di ogni genere. Ne circolano pacchi interi preparate prima della partenza, con la dicitura "io c'ero, tu dov'eri?". Oltre ad amici e conoscenti fortitudini, vengono bersagliate soprattutto la sede storica di Via San Felice (meno quella operativa di Via D'Azeglio), la Locanda del Cristo, il Ruvido e gli altri locali notoriamente biancoblù, ma anche le abitazioni di due privati: Giorgio Seragnoli e Fabrizio Pungetti.

  • Di queste migliaia di cartoline alcune sono regolarmente affrancate, molte sono a carico del destinatario (ne verranno respinte a grappoli), ma ce n'è qualcuna che viaggia con strani francobolli che, ad un esame attento, si rivelano falsi. Sono riproduzioni fatte al computer dei bolli delle poste spagnole, ma con le facce di Seragnoli e di Myers al posto di quelle di re Juan Carlos. Il bello è che verranno quasi tutte recapitate, alla faccia delle poste spagnole e dei fortitudini che le ricevono.

 

  • L'esperimento era già stato tentato l'anno prima, quando in città circolava il "Seragnolino", francobollo con l'effige del patron fortitudino a cui è stato aggiunto un naso da Pinocchio, "emesso" in occasione della sconfitta TeamSystem in finale a Treviso. Anche questo regolarmente recapitato dalla posta italiana.

  • Sempre dopo la finale persa con Treviso, solo alcuni esempi di fax circolati per mezza bologna. "Vendesi bacheca nuova mai usata causa fallimento", seguono dettagli sulle sconfitte Fortitudo. "Fossa dei Leoni organizza viaggio a Lourdes", con contorno di miracolose apparizioni e sparizioni di scudetti. "Cantico all'Aquila caduta", poesia in quartine che gira il coltello nelle piaghe dei cugini. Un "menù" che trai molti giochi di parole offre "Risotto in Bianchini, nasello rotto alla Myers, pere Williams, carrello dei bolliti, servizio Gracis". Un annuncio mortuario che dà notizia della scomparsa di"Speranza Fortitudo in Seragnoli". Una lettera su carta intestata GD (pare che molti dipendenti siano virtussini...) firmata "l'Emiro" che convoca il consiglio direttivo con l'ordine del giorno "Come vincere qualche cosa". E varie altre prese per i fondelli, più o meno spiritose, più o meno di buon gusto.

  • Finale '98, Rivers dichiara di aver prenotato il volo di rientro negli USA il giorno dopo gara4 per lo scudetto. Ma si va a gara5 e in tribuna compare un "Mamma ho perso l'aereo" firmato David Rivers.

  • L'anno dopo si leggerà anche un "Mamma, ho riperso l'aereo" ma la firma apocrifa è quella di Carlton Myers.

  • Dopo la finale '98, nuova grandinata di prese in giro sul fax (e anche le e-mail) dei tifosi blu. La serie era però cominciata prima, con il primo francobollo ad essere spedito, "La razza è la stessa, è la classe che è un'altra" sul disegno di un asino fortitudino e un purosangue virtussino. "acc. con tutti i soldi che ho speso ho vinto solo la coppa del Concorso Abbronzatissimi", fumetto attribuito a un Seragnoli che guarda una bacheca con dentro solo una Coppa Italia, piena di tele di Ragno. Infine una versione del Vangelo secondo la quale Gesù, dopo aver miracolato ciechi, storpi e moribondi, incontra un gruppo di persone in lacrime, chiede quale sia il loro dramma, e alla risposta "siamo fortitudini", china il capo, li abbraccia e piange con loro, impotente.

  • Derby successivo al "Palettagate", casa Virtus. Un gruppetto di fans bianconeri è travestito da Banda Bassotti, impugnano le palette di segnalazione del bonus, uno striscione ammonisce "Puglisi, giù le mani dalla paletta".

  • Brusche cadute di stile possono capitare anche sulla sponda bianconera. Efficace, ma decisamente poco "inglese", dopo la terza sconfitta in finale dei cugini, un enorme fallo tricolore (c'è il verde Benetton, il rosso Stefanel e il bianco Virtus) con questo commento: "cambiano i c..zi, ma il c..o è sempre lo stesso":

  • in questo libro non arriviamo alla stagione 99/00, ma sappiamo già cosa significa per i virtussini la sigla PAF, nuovo sponsor Fortitudo: "Perderete Alla Fine".

Il tiro da 4 in versione gioco

PER IL DERBY LA FILA PIÙ LUNGA: 18 ORE E UN QUARTO

di Ezio Liporesi per Virtuspedia

 

Incontravo Andrea Bassi nei templi dello sport bolognese, allo stadio, al Gianni Falchi e, naturalmente al Palasport a vedere la Virtus, nonché nelle file in Piazza Azzarita alla ricerca di un biglietto o un abbonamento. Così in quel primo pomeriggio di aprile del 1988, quando ci incrociammo davanti alle biglietterie del Palazzo dello Sport, dove l'indomani mattina alle 9 avrebbero messo in vendita i biglietti per il derby degli ottavi di playoff, bastò un cenno per decidere che ci saremmo fermati lì nell'attesa...dell'apertura delle biglietterie. Erano le 14, non c'era nessuno e fu così per qualche ora, ma poi via, via cominciarono le domande dei curiosi, che spesso poco dopo tornavano per accodarsi, armati di vettovaglie e indumenti per coprirsi, mentre Andrea (che poi al PalaMalaguti diventerà più tardi "quello del megafono", cioè la voce che, attraverso questo strumento, dettava l'inizio dei cori) ed io restavamo nella nostra manica corta allegramente primaverile. Poi scese la sera e ormai il colpo d'occhio era quello di tante file notturne, visi a noi noti, quelli di tante ore passate sotto le stelle per acquistare l'agognato ingresso alle partite delle V nere; tanti personaggi, di cui potrei citare i nomi, ancora oggi sulla breccia. Al mattino la folla era ormai oceanica e così, per motivi di ordine pubblico, fu deciso di aprire le biglietterie alle 8,15, con 45 minuti di anticipo sull'orario previsto, così quella fila, di cui noi in prima fila avevamo fin da subito calcolato la durata di 19 ore, si concluse dopo 18 ore e 15 minuti. Ormai anche le pubblicazioni sui derby riportano il dato record di quella "due giorni". Di notti trascorse in bianco per i biglietti della Virtus, ne possono fare il racconto in tanti, ma avergli aggiunto un intero pomeriggio, fino a raggiungere i 1095 minuti, a Bologna siamo Andrea Bassi, io e credo nessun altro.

 

 

La bottiglia del derby del 31 maggio 1998

IN TRIBUNA CON LE REGOLE

di Franco Montorro - Bianconero, 01/2005

 

Vi hanno chiamato conigli. Vi hanno accusato di scappare. Vi hanno preso in giro per la mancanza di coraggio. Vi hanno urlato che la vostra voce non si sentiva, che i vostri cori non arrivavano a bordo campo. Non avete mostrato sederi né esposto croci uncinate. Eppure la vostra squadra negli ultimi anni è stata quella che aveva vinto più di tutte. Nonostante tutto. Ad alcune trasferte europee "quando ne valeva la pena" - Barcellona, Monaco e Losanna per citarne tre - siete andati in numero molto superiore a qualsiasi altra tifoseria e siete tornati, vincitori o vinti, senza rimpiangere amici bloccati alla Gendarmeria o accarezzati dalla Polizei. Tutto perché avete sempre preferito tifare entro certi limiti. Non siete stati i primi né gli unici, mi auguro che non sarete neanche gli ultimi.

Time out. Non sono nato la notte "dal squasadén" e neppure sulla Luna, dunque lo so bene come si tifa in un palazzo dello sport italiano e accetto l'idea che chi ha pagato un biglietto possa dire di tutto di più, anche parolacce (ne dico anch'io, magari anche a palazzo). È permesso a teatro e all'opera, alla Scala come al Dopolavoro e al Primadellapacchia. Va bene, è sempre stato d'uso comune, sono solo cambiati certi termini, per cui nessuno dubita più della fedeltà della consorte dell'arbitro ma quasi solo dell'onestà dello stesso; mentre permane la curiosa usanza di cantare in coro "Lega italiana, figli di..." per protestare contro una fischiata quando la Lega Basket con le designazioni e le gestioni arbitrali c'entra quanto Romano Bertocchi con un concerto dei Blue. Insomma, arrabbiatevi e (stra)parlate ma restate nei limiti. Del campo e del buon senso. Facile dirvi di stare al vostro posto, di non gettare niente in campo, di non invaderlo, il terreno di gioco, di non picchiare sulle protezioni in plexiglas. Più o meno lo state già facendo, lo avete sempre fatto. Quelli con la maggiore anzianità di servizio Virtussina magari perché abituati dal mai troppo lodato Avvocato Porelli, che sapeva resistere a tutto tranne che alla tentazione di far cacciare fuori dal palasport chi avesse osato fare quel poco in più oltre la civiltà. Non spaventatevi: civiltà. Troppo comodo parlare di maleducazione e scaricare le colpe su chi non l'ha saputa insegnare. So di non predicare nel deserto e anzi di avere l'appoggio di un Claudio Sabatini che ho appoggiato sempre e completamente per questo suo codice di comportamento e per questo suo indirizzo programmatico: un club ha il dovere di controllare il comportamento dei suoi tifosi e di non tollerare nessun sconfinamento. Alcune società pur troppo non solo non si preoccupano di tenere alta l'attenzione contro violenza e inciviltà ma in alcuni casi scendono a livelli più bassi dei loro sostenitori più beceri, non isolandosi ma addirittura mantenendo con loro morbosi rapporti. In questi casi alcuni giornalisti voltano la testa dall'altra parte rifugiandosi dietro la scusa che bisogna parlare solo di cronaca, io non voglio essere diverso a tutti i costi ma già troppe volte mi sono dovuto trovare a commentare fatti di cronaca nera mentre se proprio non voglio parlare del "basket dei due punti" all'interno dei palasport mi piacerebbe che fosse solo per iniziative a favore dei più giovani, come ad esempio nel caso dei campi da basket per i ragazzi montati dietro alle tribune del PalaMalaguti per quelli che vogliono provare a giocare a basket "come fanno i più grandi" (non solo d'altezza ma anche di età). Poi nei palasport ci saranno sempre pantere, leoni, tigri, squali. Ma soprattutto ci sono uomini. E le bestie, lasciatele perdere.

Le inutili campane di Monghidoro, fatte venire dai fortitudini per gara4 del '98 per festeggiare uno scudetto mai arrivato.

VIRTUS, UN POPOLO DI LAUREATI

Superbasket - 19/24 aprile 1995

 

Un campione di 1.500 abbonati su 5.612 per un identikit interessante e per certi versi sorprendente del tifoso medio della Virtus Buckler Bologna, la società con più pubblico e abbonati d'Italia. L'indagine presentata alla vigilia dei playoff dal presidente Alfredo Cazzola, è stata condotta dal centro studi della Promotor. Ecco i dati salienti: il 73% degli abbonati Virtus sono uomini, il 40% ha tra i 26 e i 40 anni, il 22,5% è sotto i 25, il 37,5% è oltre i 40. il 19% dei possessori dell'abbonamento è laureato ("Un dato clamoroso -sottolinea con orgoglio Cazzola - se si pensa che a Bologna, leader in Italia per quanto riguarda la popolazione laureata, la media non supera il 9%"), il 59% ha un diploma di scuola media superiore. E ancora: il 53% del popolo bianconero è formato da impiegati, il 21,5% da studenti, l'11,5% da artigiani e commercianti, il 2,5% da professionisti e imprenditori; il 13% vive dentro le mura, il 57% fuori mura, il 29% fuori comune, l'1% fuori provincia.

Altro dato interessante: l'abbonato virtussino è tale, in media, da 11 anni e il 48% ha familiari anch'essi abbonati. Cazzola è tornato anche sulla vicenda legata agli abbonati che hanno ceduto la tessera a tifosi Fortitudo per il derby: "Ci eravamo adoperati per evitare che si ripetessero gli incidenti degli altri derby quando alcuni nostri abbonati erano stati espropriati del posto. All'ultimo derby l'abbonamento era l'unico strumento che garantiva l'accesso, anche se questo ha significato un danno economico di 50 milioni tra mancato incasso e organizzazione delle strutture di controllo. L'ingresso di alcuni tifosi Fortitudo significa che abbiamo abbonati che tifano per i cugini oppure che alcuni nostri abbonati hanno sfruttato l'occazione per un'operazione di bagarinaggio che non possiamo evidentemente tollerare".

I tifosi bianconeri travestiti da "ricchi americani" fanno il verso allo sponsor GMAC presentato dalla Fortitudo (foto tratta da www.foreverboys.it)

PUBBLICITÀ AL VELENO NELLA BOLOGNA DEL BASKET

di Walter Fuochi - La Repubblica - 31/05/1997

 

Una pagina di pubblicità sulle edizioni cittadine di "Repubblica", "Carlino" e "Unità". Testo: "I virtussini hanno avuto un'infanzia felice senza complessi e guardano al futuro con grande serenità".
Firma: Virtus Pallacanestro. Meglio: Alfredo Cazzola, presidente.
Questo messaggio, criptico per tutti, tranne che per i cestomani di Basket City, brulicante d'una quotidiana vita paliesca, ossia manovre, dispetti, scongiuri per non essere mai, somma indegnità, la torre più bassa, hanno trovato ieri sui loro fogli i lettori bolognesi. E non era neanche il primo né, chissà, sarà l'ultimo. Già otto giorni prima, Cazzola aveva fatto stampare questo spot: "Bologna, grazie alla Virtus Pallacanestro, negli anni '90 (siamo nel '97) ha vinto 11 titoli. Non possiamo ritenerci soddisfatti. Statene certi non è finita qui". Messaggio alla sua nazione, certo, la Virtus Kinder, frustata da 7 derby persi di fila, e appena rianimata con l'acquisto dell'asso francese Rigaudeau e col ratto, proprio ai cugini, del pivot Frosini. Ma messaggio anche al popolo dirimpettaio: quello che non ha mai vinto niente, e lo canta pure al palazzo, con divertente autoironia. E che aveva, proprio in quei giorni, appena perso con Treviso la finale scudetto. Non risultando che Berlusconi punzecchi Moratti, o viceversa, comprando pagine pubblicitarie, la campagna di Cazzola resta per ora una strategia singolare, fantasiosa e aggressiva, buona per alimentare la golosa chiacchiera cittadina, non bastasse il tormentone Ulivieri, e soprattutto per riaccendere la forte rivalità del basket bolognese. Lui, Alfredo Cazzola, 47 anni, presidente-proprietario della Virtus Basket dal '91, 'inventore' del Motor Show e organizzatore del Salone di Torino, garantisce di avere, come solo interlocutore, l'orgoglio da riattivare dei suoi tifosi, un parco abbonati da 8 miliardi. Ma è fin troppo palese che il vero destinatario sia invece Giorgio Seragnoli, 41 anni, famiglia della più solida borghesia cittadina, industriale e finanziere. Seragnoli è proprietario della Fortitudo da cinque stagioni: lo dice lui, d'essersi comprato la squadra per cui tifava da bambino. Anzi, per cui soffriva, perché perdeva troppi derby: da cui i complessi infantili cui l'altro ammicca, nella pagina. Se a Seragnoli parve "di pessimo gusto" la prima uscita, chissà questa, così diretta. Ma è all'estero, non dà repliche. Così come tace Toni Cappellari, il suo general manager, che l'altra volta commentò "Cazzola sta lucidando l'argenteria", beccandosi in risposta "L'argenteria la lucida chi ce l'ha". Aspettando le prossime puntate, ci sarebbe da trovare un perché: che, al di là del marketing orientato sul pubblico virtussino, esigente e snob, si può far risalire ai pochi mesi fa in cui i due, con patinato fair play, tessevano un'intesa che addirittura doveva portare a una fusione. Respinta con somma ignominia da entrambe le sponde di Basket City, è ora un ricordo stinto pure per i due monarchi, che s'annusavano diffidenti anche quando trattavano e adesso se lo buttano in faccia, d'esser di diverse parrocchie.

 

UNA SEDIA RACCONTA

di Giorgio Comaschi - Il Mito della Vnera 2

 

Mi chiamo Pina, sono la più vecchia delle sedie del parterre della Virtus. Sono una sedia fortunata perché in tutti questi anni ho toccato i più bei sederi di Bologna. E sai che invidie. Quante mode, quanti bei vestiti, quanta bella gente sono passati qui sopra. Siamo sempre andate a ruba, noi. Perché essere nel parterre non vuol dire solo essere tifosi, vuol dire anche essere bolognesi, essere "in", soprattutto "esserci". Ho visto sfilare belle donne e begli uomini, ho visto incazzarsi avvocati, commercialisti e industriali, ma ho visto anche innamorarsi donne belle e meno belle, che però anche se meno belle al pomeriggio della domenica diventavano mica male. Bastava uno spacco, una lampada, una permanente. O anche qualche trucco. C'era una tecnica, fino a qualche anno fa, per farsi notare nel parterre. Aspettare che la partita fosse già cominciata ed entrare in ritardo per far alzare tutta la fila. Si entrava immediatamente nel mito. Hai presente la Tizia? Ma s', quella che arriva sempre in ritardo nella seconda fila dietro al canestro di via Calori. Adesso i tempi sono un po' cambiati e la tizia ha già qualche annetto in più e chissà perché arriva un'ora prima. Forse ha paura che la gente dica: ma guarda, è un po' cambiata... Fa niente. Sono i tempi che passano.

Ho visto cose incredibili. Gente con gli occhiali da sole fingere congiuntiviti perché alle sei di sera d'inverno, dentro al Palazzo chi ha gli occhiali scuri ha due possibilità: o è un cretino o ha la congiuntivite. Qui il sole non batte mai, anche se siamo sulla terrazza di un cottage Privée sulle Tofane. Il parterre è sempre stato così. Fra Cortina e le Maldive, fra Porta Lame e la vasca del Pavaglione. Facevano a gara per avere la Pina. E quando rimanevo vuota c'era anche qualcuno che appena iniziava la partita, zac, sgattaiolava nell'ombra per venirsi a sedere e scroccare un posto, in barba alle maschere. Ho visto pellicce fare le fusa tra loro, ho visto John Fultz fare l'occhietto a quella seduta sulla mia collega di fianco. Ho sentito mille volte la frase "Come stai? bene e tu, bene, come stai? Bene e tu?", ripetersi all'infinito perché dopo non c'era quasi niente da dire. Ho visto generazioni di grandi famiglie. Ho visto i padri della Bologna che conta e che fa i soldi. E adesso vedo una categoria nuova: i figli del padre. Io vorrei dirglielo: con la crisi che c'è approfittate ragazzi. Basta dire: non h più un "ghello" e siete a posto. Invece se continuate con i vostri macchinoni, le Seychelles, i Rolex facendo finta di niente, perdete un'occasione unica. Dopo siete condannati a fare i figli del padre tutta la vita. E il padre magari l'è arviné. Ascoltate la vecchia Pina che ne ha viste di tutti i colori.

Intanto sto qui e aspetto le nuove generazioni. A me le rughe non vengono, tutt'al più un po' di ruggine. Ma se la Virtus continua a vincere c'è anche caso che mi diano una smerigliatina e mi portino al palazzo nuovo a Casalecchio. Una parterre senza la Pina, del resto, che parterre sarebbe?

 

HO TOREATO IL REAL MADRID

di Franco Vannini

 

Al compiere dei 40 anni decisi di fare l'ultima cazzata ed in occasione della Coppa delle Coppe del '90 a Firenze, per scommessa, ho toreato il Real Madrid al suo ingresso in campo. La scommessa vinta fu con un amico.

La stoffa della muleta me la procurò Claudio Sabatini, organizzatore della trasferta di gruppo.

Tristemente ricordo che il primo ad essersi presentato davanti alla mia muleta scarlatta fu proprio il povero Martin, poi precocemente scomparso.

Mi salvai dal prendere un sacco di botte perché il servizio d'ordine era formato in parte dai nostri che mi conoscevano, ed in parte da miei ex compagni della squadra di rugby di Firenze in cui ho militato 8 anni.

Claudio per l'occasione, noleggiò ed offrì agli amici un pullman da Bologna sino a Campo di Marte e ritorno.

 

L'autore del ricordo precedente nella foto apparsa sul Resto del Carlino del 15/03/90

BOLOGNA È DOTTA?

L'ennesima sostituzione dell'allenatore pone un interrogativo di fondo: davvero la città delle due torri è competente in fatto di basket?

di Cesare Tonelli - Giganti del Basket - 15 Giugno 1987

 

Nove allenatori passati in dieci anni. Mettiamoli in fila: Peterson, Driscoll, Zuccheri, Ranuzzi, Nikolic, Bisacca, Di Vincenzo, Bucci, Gamba. Per nessuno, il giorno dopo la cacciata, fu spesa una lacrima. Dopo un mese, dopo un anno. Ma intanto si cambiava, intanto Bologna Basket mangiava i suoi tecnici come un Saturno capriccioso. Sandro Gamba è un ultimo anello: qualcuno dice il bersaglio di un razzismo a rovescio, il "milanese", l'uomo del profondo Nord, mai amato, volentieri ripudiato. Chiacchiere. Nella formazione di trombati sfilata poco sopra figurano, per l'anagrafe, quattro bolognesi, tre americani, uno jugoslavo. Presi, usati, buttati. Chi meglio, chi peggio. Via Washington non c'entra, semmai sono via Irnerio e via Ugo Bassi le strade inquinate da questo veleno sottile, che rende l'aria irrespirabile sulla panchina del tempio, caldo e splendente, di piazza Azzarita.

Sandro Gamba non abita più qui, il suo futuro è l'azzurro nebuloso di una Nazionale ritrovata, il suo passato recente un biennio di risultati avari, chiuso da un comunicato di divorzio, congiunto e infelice. Riassumiamo liberamente: non c'era feeling, tra pubblico e coach, non c'erano le condizioni per continuare serenamente a far basket sotto gradinate impazienti, con tanta voglia di protestare e fischiare. Meglio mollare. Una resa?

"No, mai" protestava gamba il giorno del divorzio "Solo una constatazione: che per la squadra c'erano condizionamenti pesanti, legati alla mia presenza, per potersi esprimere bene. Così ci siamo lasciati, io e la Dietor, per consentire alla squadra di rigiocare senza queste spade appese sopra il capo". Una resa, avvocato Porelli? "No, mai" tuona il big boss "Anzi, il coraggio di dire la verità, di non nascondersi dietro parole vaghe. Gamba viveva una situazione difficile. Questa si ripercuoteva sulla squadra. è stato un atto onesto e coraggioso troncare questa situazione. E dirlo con chiarezza, senza vendere fumo".

Qualcuno li chiama i "professori del parterre". Bolognesi, figli della Dotta. Anche un po' più Dotta, fra un anno, davanti a un giubileo per il nono secolo dell'antica università che brucerà venti miliardi tra feste, celebrazioni, convegni, restauri. Dotta per aver dato, in un paio di mesi, lauree honoris acusa a Raul Gardini, re dello zucchero, e a Carlo d'Inghilterra, prossimo re di Gran Bretagna. Dotta per traslato, ad altri variegabili scibili. Quello sportivo, per esempio. Bologna e il suo pubblico competente: vecchio slogan, gente che capisce, che apprezza e soppesa la qualità, che ha grande memoria storica, palato affinato dagli assaggi migliori.

Ma il luogo comune appeso alle gradinate tira anche i suoi scricchiolii: il pallone, rievocando i sempiterni Haller e Pascutti, è rotolato in fondo alla serie B. E se il basket regge nell'elite che conta, gli ultimi tre piazzamenti sono un ottavo, un decimo, un quinto posto: che è poi la stessa roba, se si pensa che tutti e tre equivalgono ad una sollecita estromissione, nel primo turno, dai play-off. Il pubblico competente, incattivito dalle delusioni, è diventato il pubblico esigente: altro luogo comune per etichettare l'inalterato palato buono, però inacidito dai troppi piatti amari.

Competente, esigente, o cos'altro? La prima fotografia lasciamola ancora all'avvocato Porelli. "Competente, sì. Molti hanno trent'anni di basket visto alle spalle. E poi qui a Bologna si gioca molto, a vari livelli: e gli ex praticanti sono gente che capisce di pallacanestro. Infine ci sono i 'troppo' competenti. Ma ognuno la vede a modo suo, anche se una frangia limitata, esternamente insoddisfatta, che si allarga in presenza di risultati negativi, la vede troppo male. Ed è arrivata a modalità decisamente aspre di protesta: le monetine, gli insulti, il nostro Gamba che perde tre partite in casa e per tre volte deve lasciare il palazzo scortato. Qui non ci siamo più". Porelli viaggia dentro la Virtus da vent'anni, ricorda i trenta pullman che partirono per Cantù, quando la nobile V nera veida da vicino il burrone della B, dice che è cambiato molto da allora, anzi è tutto diverso, per avuto, dopo, sempre o quasi sempre una squadra da corsa. Da scudetto e da grandi aspettative. Da esplosive euforie o da funeree depressioni.

Si sarebbe mangiato la lingua, l'avvocato, il giorno che a tavola alla Grada pronunciò un anatema poi stampato sui giornali. "Il pubblico bolognese è il sesto uomo. Degli altri". "Uno sfogo, una battuta amara" corregge adesso. "Non lo pensavo e non lo penso. Dico invece che il pubblico è la parte più importante di una società. Un patrimonio. Quelli per cui si lavora. Quelli che pagano l'olio".

Ex praticanti in gradinata, diceva l'avvocato. Ma sì, cerchiamoli: uno come Giorgio Bonaga, per dire, che ai tempi suoi da playmaker in serie B "era meglio di Raga", come cantavano gruppi sparuti alle partite della GD, ed è un segno che c'era anche più ironia, rispetto ai "devi morire", ai "vieni a pescare con noi", beceri e truculenti, di adesso. Sentiamo Bonaga che rincorre ancora il pallone nei playground ai Giardini Margherita o ai campetti di Milano Marittima. Che non perde una partita della Virtus.

"A Bologna c'è un atteggiamento di aristocrazia stupida nei confronti dello sport. La squadra del cuore non la si ama. Si pretende che dia. Il pubblico della Virtus aspetta più la polemica del risultato. E poi produce chiacchiere, maldicenze, niente di costruttivo. Qui siamo a metà del guado. Una piccola città adora la suq squadra, vive coi giocatori in una simbiosi positiva. Una grande perde i contatti, diluisce il fenomeno. Penso a Roma, a Milano. Bologna sta in mezzo, nel modo più deleterio":

E la famosa competenza? "Il pubblico, a palazzo, è cambiato. I vecchi tifosi sono forse più critici, ma hanno espressioni più serene, equilibrate. I nuovi straparlano di qualuncuq cosa: un cambio, una mossa, una rinuncia. Gamba ne sapeva più di tutti, di basket. Semmai si era un po' perso di vista l'assieme, una gestione geenrale degli uomini non ottimale".

Ex praticante è pure Enrico Franceschini, mediocrissimo playmaker da prima divisione che preferì persto l'Olivetti e le cronache del cesto, e oggi è a New York, corrispondente di "Repubblica", e telefona per sapere se verrà Cosic ad allenare, perché lui se andò negli States prpprio a uno scudetto di Creso, sette anni fa. "La mia città è dotta? Mah, mi sembra soprattutto grassa, piena di 'pilla'. E anche a palazzo, ricordo, c'era un po' il mito che tutti capissero: fra tessere ereditarie, ex belle donne, fusti da parterre pontificavano in tanti. Un gran parlare, ma non c'era tifo. Però, anche in senso buono, non c'era gente accecata dal tifo".

I "professori" non stanno solo fra i giganti. Spesso sono gli stessi, abitano anche allo stadio, ma Carlo Mazzone, che l'altr'anno si stizziva quando dalla tribuna gli strillavano di mettere una punta, e oggi, via da Bologna, eè un tecnico del pallone rimpianto quanto l'idolo Radice, cambia marcia. "Pubblico eccezionale, grande città. è amareggiato, deluso da anni di calcio avaro. Chiede spettacoli migliori, allo stadio gli basterebbero tre passaggi consecutivi. Se lo sport gira male, non pretendiamo che la gente, in campo, ci lanci i fiori".

Ma neanche pile, accendini, monete. Nel "salotto" del basket è capitato. Giorni duri, sassate contro la vetrina e contro l'anima di chi, da sempre, sa addobbarsela così bene. Gente da individuare e cacciare: tutti d'accordo. Ma non è gente che esprime urlando i suoi dissensi, anche contro Gamba. è un discorso delicato, Porelli dice che siamo dentro un altro equivoco, ma il giorno che il duce annunciò la teoria che anche il pubblico andava "rivoluzionato", fu un passo breve pensare a una schedatura degli abbonati cattivi, a una decimazione di quel "sesto uomo" tanto amico dei nemici.

"Ma no" spiega lui, "tra l'altro c'è un obbligo giuridico, a vendere i biglietti del proprio spettacolo, che tronca subito quest'illazione. è indubbio che ci sono pressioni per un ricambio, che molti non riescono ad entrare, che forse un meccanismo per togliere la prelazione a uno dei nostri otto settori di abbonamenti, un anno per uno, a turno, servirebbe, ma non certo per perseguitare nessuno. A meno che qualcuno non rechi danni concreti e provati alla società. Ma questa è un'altra faccenda".

Bene, alla Scala fischiarono, nell'83, un Edgardo di Pavarotti, nella "Lucia di Lammermoor", proprio moscio: e il grande Luciano non battè ciglio, rispettò la platea. Anche il competente pubblico potrà pigliarsela di nuovo, senza repressioni, col coach di turno. Che sarà, dicono tutti, Cosic. Giocatore grande, grandissimo. Vincente? Sempre così? Ma certo. "Io l'avevo detto". Tutti l'avevano detto. E allora chi era stato a giurare che, col "gatto mormone", con la "betulla malata", non si poteva mai vincere niente?

 

APPENDICE

Caro Direttore, nel numero scorso dei "Giganti del Basket" ho letto un articolo ("Bologna è dott?") nel quale - tra altre più autorevoli - è riportata l'intervista che io... NON HO MAI rilasciato al Sig. Cesare Tonelli (esiste?).

Mi creda, non appartengo alla schiera di cittadini tanto solerti da rivendicare i propri diritti anche nelle vicende più irrilevanti. Essi avranno anche ragione, ma sono così pedanti! Tuttavia l'articolo stravolge talmente il senso delle cose da richiedere una replica. Mi spiego.

Da spettatore ancora appassionato, ma senza preconcetti, ho affermato (in un ambito modesto, sia chiaro!) che il fallimento degli ultimi due campionati della Dietor Pallacanestro era da attribuire:

!) alla mancanza di una vera società, cioè articolata ed organizzata nel modo più consono al tipo di professionismo italiano (la colpa di Porelli di fare tutto da solo, insomma);

2) alle colpe di Gamba come "head coach" di club (non certo come tecnico);

3) alle complicità della stampa bolognese (mai autonoma, mai autorevole, mai brillante);

4) ad un pubblico aristocratico nel modo sbagliato (non competente, come si legge spesso, ma sonnolento nell'attesa dei risultati più che dello spettacolo).

Leggendo l'articolo, invece, sembrerebbe che l'avv, Porelli difenda il pubblico mentre uno del pubblico, il sottoscritto, indichi nel pubblico l'unico responsabile dei risultati scadenti.

Ora, è vero che data la sua professione Porelli fu certamenet abilitato alla "difesa" di qualcuno, ma in realtà l'Avvocato non ha mai brillato troppo in quelle forme di rispetto che il pubblico bolognese, comunque, meriterebbe.

La mia popolarità è talmente modesta, caro direttore, che questa mia replica non vuole certo essere una forma di precauzione nei confronti delle... ire dei tifosi bolognesi. Essa è soltanto un piccolo contributo per ripristinare la realtà delle cose, per trascurabile che sia.

Giorgio Bonaga

 

Cesare Tonelli esiste, è soltanto uno pseudonimo usato da un collega bolognese che certamente ben conosce. Adesso il dubbio: smentisce quanto da noi riportato in quanto non rilasciato a "Cesare Tonelli" o smentisce in quanto non dichiarato tout court? Mi sembra, comunque, che su un punto si sia almeno d'accordo: Bologna, in fatto di basket, proprio dotta dotta non è...

Il Direttore

 

Cartolina da Barcellona

TIFOSI VIRTUS, SCHEDIAMOCI DA SOLI

di Marco Martelli - La Repubblica - 31/03/2004

 

Sarà un PalaMalaguti all'inglese, nelle speranze e nei progetti. Apripista in Europa, fuori dai confini della magna Inghilterra (dove il sistema è regolato per legge), la Virtus Pallacanestro ha presentato ieri il piano «Male non fare, paura non avere»: mettendolo in pratica, tra la fine di questa stagione e la prossima, il club intende, in collaborazione con le forze dell'ordine, autoregolamentarsi e autocertificarsi per salvaguardare i valori dello sport, e tenerli ben distaccati dagli ormai usuali fenomeni di violenza. L'idea è di Claudio Sabatini, proprietario della Virtus, e forse c'entra il recente epilogo del derby Lazio-Roma. «Mi affaccio a questo progetto in triplice veste - ha esordito ieri Sabatini - come presidente, come tifoso e come genitore. Come tutte le idee, queste devono venire dall'alto, ma anche dalla base. Ed è spuntata qualche giorno fa, parlandone poi coi tifosi». Proprio i tifosi sono parte integrante del progetto, che vorrebbe diventare un modello esportabile anche in altre realtà, non solo cestistiche. «Il modello è quello inglese - continua Sabatini -: un posto, una persona. E lì, società e forze dell'ordine, sanno qual è il posto e qual è la persona. Qui sarà così, senza obblighi, ma con la spontaneità del pubblico: abbiamo una tifoseria, educata negli anni dall'avvocato Porelli, che non ha mai dato problemi, e per questo nessuno vuole nascondersi. Particolarmente dopo aver dato, quest'estate, una grande dimostrazione di sportività: se quel che è successo a noi fosse capitato in altre piazze, non so se sarebbe filato tutto liscio». I primi ad essere stati coinvolti sono i gruppi organizzati: Forever Boys Virtus, Vecchio Stile, Virtus Club dei Cento, Club Enogastronomico Virtussino. Poi, la porta è aperta a tutti, previo ovviamente l'assenso al trattamento dei dati personali, in virtù della legge sulla privacy. Nei fatti, funzionerà così: sotto la supervisione della società, ogni tifoso indicherà alla Virtus, tramite autocertificazione, le proprie generalità, corredate da una foto e dal numero del posto occupato al palasport, costituendo così una banca dati, quasi l'anagrafe di un pubblico che ai tempi d'oro toccò pure le 8.000 unità e oggi, in LegaDue, veleggia intorno alla metà. «La nostra banca dati sarà a disposizione delle forze dell'ordine e magari sarà possibile farlo non solo con gli abbonati, ma anche con chi acquista un biglietto singolo: un assenso allo sfruttamento dei dati, un po' come avviene negli hotel. Questo perché lo sport, e soprattutto il viverlo, deve essere un inno alla gioia, non un inno all'odio. Lo sport sta anche nella cultura con cui si vive: ormai, purtroppo, il Ministro di riferimento non è più quello della Cultura, ma ci si divide tra quello dell' Economia, per i danni di bilancio, e quello degli Interni, per questioni di ordine pubblico». E a chi gli chiede se l'intenzione è quella di dare un segnale anche alla Fortitudo, Sabatini risponde così: «Ognuno pensa a casa sua e noi non vogliamo insegnare nulla. Crediamo in questo progetto, crediamo che questa direzione sia quella da prendere e speriamo che l'idea venga condivisa. Dalla base e dall'alto. Così si può ricreare una cultura dello sport e dello spettacolo». Presente alla conferenza, ha parlato anche Andrea Niccolai, neocapitano della Virtus: «È un idea importante, che dà un bel segnale, nonché intelligente. L'auspicio è che possa dare spunti anche a mondi più importanti del nostro, come il calcio, di cui sono tifoso, ma che rischia di rovinarsi. Mi sento orgoglioso di giocare in una società che crede in questa cosa e, attorno a noi, vuole creare un clima sereno e sicuro». Hanno poi chiuso i tifosi. È di Andrea Bassi, dei Forever Boys, lo slogan più incisivo: «L'unico modo per aiutare le forze dell'ordine, è non dar loro problemi". Sabatini, al fianco, annuisce. E aggiunge una chiosa di stampo economico: «Non è che i poliziotti in tenuta antisommossa costino poco: e questo ricade sulla collettività. Se questi costi venissero fatturati alle società, credo che il nostro progetto sarebbe già stato attuato da molte parti».

 

La cartolina inviata a Seragnoli da Barcellona (foto fornita da Daniela Ballotta)

TRA VIRTUS E FORTITUDO GLI SFOTTÒ VIAGGIANO ANCHE SU VIA ELETTRONICA

di Doriano Rabitti - Il Resto del Carlino - 15/05/1996

 

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Il derby delle Due Torri si chiude in parità: Virtus e Fortitudo sono infatti "ospiti" dello stesso nodo, all'indirizzo www.nettuno.it/fiera/metropol/ occorre aggiungere virtus.html oppure fortitud.html. In passato peraltro i fan bolognesi misero in subbuglio la rete giocando in anteprima un paio di derby a suon di sfottò, scambiandosi messaggi di posta elettronica.

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UN TELEGRAMMA-BEFFA NEL COVO FORTITUDO

di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 01/06/1996

 

L'importante è riderci sopra, soprattutto se si tratta di uno scudetto che i "cugini" hanno solo sognato, ma non conquistato. Così, un gruppo di tifosi Virtus, che ha finito per rivedere il giudizio su Bodiroga & compagni ha pensato di far recapitare un telegramma particolare al ristorante "Merlot", punto di ritrovo per tutti i giocatori della Fortitudo. Questo il testo del messaggio: "Il sindaco, in accordo con l'assessore al traffico, in via eccezionale accoglie la richiesta del ristorante "Merlot" e concede a chiusura della via De' Gombruti per il giorno 1° giugno 1996, dalle ore 17 alle ore 24, per festeggiare degnamente il primo scudetto e l'inizio del ciclo di Bologna-Due".

Un clamoroso errore dell'amministrazione comunale? No, anche perché la firma, rigorosamente falsa, non ammette dubbi: Bepi Stefanel.

DERBY DI BOLOGNA: ALL'ASTA PER RICONQUISTARE LA MOROSA

di Marco Martelli - La Repubblica - 04/12/2005


«Vi invidio, vi invidio molto», lo si è sentito da più parti, in questi giorni di razzia di pronostici e di attesa al diapason, per l'una e per l'altra Bologna tanto cambiate da quel triste e povero ultimo derby. «Mi piacerebbe andare, ma non vorrei creare imbarazzo», diceva ieri Alfredo Cazzola, prima d'entrare allo stadio. Anche lui, ora calciofilo, non resiste al primo amore che lo vide matador: poi, sofferta così la Cremonese, chissà se la voglia sarà cresciuta o sparita. Mille giorni dopo è un'era diversa, ma se sono cambiate le facce in campo, non lo sono quelle fuori, sugli spalti, il cui derby quotidiano culmina finalmente sul parquet.
Due anni e rotti, diciamolo, per pensare a una coreografia, mentre sette giorni fa era stato redatto il dress-code dell'Aquila: diviso orizzontalmente il PalaDozza, si richiedono abiti bianchi nel lato Azzarita e colori blu nel lato Graziano. Resta dunque l'attesa per la trovata della Fossa dei Leoni, messa a dura prova dalle voci di spionaggio, si vedrà quanto efficace, operato dall'opposta fazione. Non preoccupa granché neppure Sabatini, che, garrulo, dice di saper già ciò che l'attende; anzi, gli si richiede l'abito blu (il patron starà nel lato Azzarita), e si chiedeva a gran voce la presenza dell'orso Henry, che invece se la vedrà su Sky, al sicuro dai timori di rapimento. Conigliata virtussina, of course, vista dalla riva di fronte.
La metà bianconera, incarnata nel centinaio che saranno presenti nello spicchio ospite, grida allora il suo inno alla vita, tornata per le vie del centro a mostrare i suoi vessilli dopo un triennio al buio. E più di un´insolenza fortitudina va in questo senso; ci sta, nella gara a chi ha la fede più forte. Immerse nel tessuto cittadino, le parrocchie del tifo non hanno però più oratori sigillati ad altri devoti: mescolate nei loro dogmi hanno abolito i "covi", pur mantenendone l´etichetta storica. Capita allora che più di un fortitudino, anche da curva, preferisca la birra chiara del Black Bay, gestito da virtussini e storicamente di parte. E capita anche, in centro, di vedere virtussini in Braseria, tavola ormai quietamente bi-partisan.
È la promiscuità a rendere questo derby speciale. E bolognesissimo: al suo banchetto, la Fossa invita tutti a finire 50 chili di tortellini Paf, mescolati in due pentoloni, uno al brodo di dado (Star, mica Knorr) e uno al brodo di cappone, destinato ai virtussini (per il rischio aviaria...). Anche al Bar Ciccio di via San Mamolo, "covo" soprattutto rossoblù, si aspettano i virtussini: per loro ("conigli"), ci sono 10 chili di carote. Ciccio aprirà per il match, e così pure la birreria Meddix, in via Mascarella, altro locale in cui rifugiarsi se non si ha né Sky né biglietto. Tra quelli venduti all'asta, e comprati da bianconeri ma anche da biancoblù, uno è ancora in gioco (ribattuto su Ebay. it, prezzo schizzato a 181 euro) e uno è andato via a 2000 euro. «Un regalo per la mia fidanzata, virtussina, con cui le cose non vanno benissimo», ha fatto sapere l'anonimo benefattore. Per amore, solo per amore.

 

I famosi annunci con i preziosi abbonamenti in vendita

IL PASTICCIERE DI CENTO CAMPIONE D'EUROPA: "E SASHA MI FIRMO' IL TROFEO DI BARCELLONA"

di Federico Petroni - La Repubblica - 18/07/2010


Un ladro. Come Arsenio Lupin, però: un ladro per cui si fa il tifo. Innocente, insomma, un ladro bianco. Meglio, bianconero. Alessandro Lodi, 32 anni, pasticciere per professione e virtussino per passione, si tiene in casa, da dodici anni, un cimelio. Non una coppa, non una canotta, non un vessillo. Un cubo. Non c'entra Rubik, però. Questo è il cubo dei cambi su cui si posarono, nel palasport di Sant Jordi, le natiche dorate degli eroi di Barcellona, la sera del 23 aprile '98: fu lì che Augusto Binelli, primo capitano nell'ottuagenaria storia della Virtus, brandì la Coppa Campioni strappata all'Aek. E proprio Binelli, in un'altra notte da kleenex, ha dato l'assist al pasticciere di Pieve di Cento di impreziosire il cubo. Alcune sere fa, all'addio ufficiale del gigante, Lodi s'è appostato dietro le panche e ha finito il lavoro, sistemando le ciliegine sulla torta: intercettati i campioni d'Europa, li ha obbligati all'autografo. «Ho aspettato tanto - racconta -, e quando ho saputo che Gus raggruppava i ragazzi, non potevo farmeli scappare». Manca solo Savic, mattatore quella notte. «Lo braccherò». L'autografo più sorridente? «Abbio: entusiasta». Quello più ostico? «Danilovic: un grugnito». Quello più scarabocchiato? «Binelli: a fine partita, un assedio. Mi dà il cinque, gli trattengo la mano, c'infilo il pennarello. Grondava sudore e lacrime». Il cubo ora è un capolavoro completato. Alla goduria catalana del trionfo, il supertifoso associò allora il ratto del trofeo: la vittoria resta, di solito, in una canotta o in un polsino, in una retina o in pallone. Lodi no, voleva il cubo. Il racconto dello scippo farebbe invidia al Connery di "Entrapment". «Sirena finale. Salto due metri e mezzo di balaustra. Sul cubo ballano due ragazzi: chiedo se è prenotato. No, e li sposto». Intanto Cazzola chiede agli invasori di campo di uscire, ci sarebbe una coppa da celebrare. «Schivo un poliziotto col manganello e scappo». Poi via, nella notte insonne, verso l'Italia, abbracciando in pullman quel brandello di storia. 12 anni dopo, ricamato dell'inchiostro giusto. Un pezzo da museo. «Ma a quello della Virtus non lo darei». Vero, ogni ladro è geloso della refurtiva.

 

MI RITORNI IN MENTE: PUNTATA 9

di Bruno Trebbi - www.bolognabasket.it - 14/03/2013

 

Può sembrare strano in un’epoca di A canestro con IGD e Fai la spesa con la Coop, ma per lunghi anni era quasi impossibile trovare un biglietto per andare a vedere la Virtus, per non parlare poi di sottoscrivere un abbonamento. Erano gli anni ‘80 e ‘90, decisamente un’altra epoca. La Virtus era vincente ma non sempre, tanto che passarono nove anni (1984-1993) tra uno scudetto e l’altro, con in mezzo una Coppa Italia e una Coppa delle Coppe. Fatto sta che - vittorie o no - l’avvocato Porelli era riuscito a creare un sistema che funzionava perfettamente, e che si alimentava da solo. Si giocava nell’allora Madison di Piazza Azzarita, e i posti erano quelli, 5000 o poco più. La campagna abbonamenti, a prezzi da paura, veniva lanciata prestissimo e quella corposa e anticipata iniezione di liquidi serviva tantissimo alle casse societarie.

L’abbonamento alla Virtus era diventato nel tempo qualcosa di simile a quello al Teatro Comunale di Bologna: uno status symbol. Il diritto a rinnovare veniva letteralmente passato di padre in figlio, e per i pochissimi posti “nuovi” che ogni anno venivano venduti si formava una coda notturna di aspiranti abbonati. Una cosa impensabile a oggi, che si è rivista solo nel 2002, per ottenere i biglietti delle Final Four di Eurolega di Casalecchio. Il tutto ovviamente aveva lati positivi e negativi: quelli positivi erano soprattutto per la società - che poteva contare su un introito certo già a luglio. Il lato negativo era lo scarsissimo ricambio (mummie dicevano i detrattori, ma erano mummie lautamente paganti) e soprattutto il fatto che per avvicinarsi alla Virtus un ragazzo o comunque un appassionato dovesse fare i salti mortali.

A parte le vie canoniche, vi erano vari sistemi non esattamente legali, che però sottotraccia funzionavano eccome. C’era il bagarinaggio: abbonati che per le partite meno importanti prestavano il prezioso tagliando ad altri - dietro compenso di almeno 50mila lire, cosa successa più volte a chi vi scrive - oppure c’era addirittura chi entrava da una finestra ben specifica, che sbucava in certi bagni, tradizione negli anni si era consolidata. E anche il custode - si vocifera - ogni tanto faceva passare qualcuno. C’erano anche non pochi virtussini che - con la Fortitudo in serie A - facevano l’abbonamento ai cugini per avere la certezza di vedere almeno un derby.

E proprio per i derby - soprattutto negli anni ‘90, con entrambe le squadre ad alto livello, la fantasia si accendeva e gli stratagemmi aumentavano: nel 1995 abbiamo visto tifosi Fortitudo offrire fino a 200mila lire per un abbonamento Virtus, e non pochi accettarono. Cazzola non la prese bene: fece segnare dalle maschere i nomi sugli abbonamenti V di quelli entrati con la sciarpa Fortitudo, e l’anno dopo non rinnovò loro l’abbonamento. Viceversa, per un derby in casa Effe i tifosi bianconeri fecero stampare dei perfetti abbonamenti Fortitudo falsi, ma poi la voce si sparse e con la polizia in allerta alla fine non furono utilizzati per timore di guai giudiziari.

Il tutto sarebbe ripetibile oggi? Probabilmente no. Nessuno se ne accorse, ma l’inizio della fine fu il trasferimento a Casalecchio, in quello che allora si chiamava Polo Sport. Essendoci molti più posti all’inizio gli abbonati aumentarono, e per i derby era sempre impossibile o quasi trovare un tagliando. Cazzola fece anche una sorta di referendum tra i tifosi, per sapere qualche palazzo preferivano, ma alla fine - a parte un anno - la Virtus restò sempre a Casalecchio. E piano piano, lentamente, cominciò l’erosione. Visto che i biglietti - derby a parte - si trovavano più o meno sempre, magari passando dai gruppi organizzati, prima qualcuno poi parecchi non rinnovarono l’abbonamento. Un fiumiciattolo, che divenne grande come le cascate del Niagara nel 2002/03, dopo il primo disastro Madrigali - l’esonero di Messina - e subito prima del secondo, la revoca dell’affilazione, ma lì fu anche e soprattutto un gesto simbolico, con la gente che decise di smettere di finanziare colui che stava distruggendo la Virtus. Il resto è storia della “nostra era”.

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Antonella e Mascia nei giorni precedenti il derby che ritorna in serie A dopo 10 anni nel 2019

1998-2009-2021