PALAMALAGUTI, CENTO DI QUESTE NOTTI
di Walter Fuochi - La Repubblica - 20/12/2003
Compie dieci anni il PalaMalaguti, e in questi casi non sono mai solo pietre e acciaio, legno e vetro. Chi ci ha trovato l'amore d'una vita, in una notte incendiata da Springsteen o cullata da Baglioni, chi un trionfo da tifoso, saltando abbracciato a migliaia di fratelli di fede, non vedrà mai uno scatolone di cemento o una tartaruga gigante smarrita fra nodi di tangenziali. Posti così fertili, a produrre emozioni e ricordi, diventano fatalmente luoghi dell'anima. Fatti i dieci anni, esattamente il 3 dicembre, il PalaMalaguti cambierà probabilmente nome l'estate prossima. Peccato, gli si stava incidendo addosso, soprattutto nelle abitudini della gente, che sono il vero battesimo d'ogni posto. Passato questo tempo a battagliare per farsi un'identità, cederà la sua radice più forte perché così vogliono le leggi della pubblicità: ci sono cicli che s'esauriscono e garrendo sul tetto dal 1998, pure il marchio Malaguti, in scadenza a giugno 2004, sarebbe tra questi. Sono anche tifosi, e bolognesi, i signori dei motorini. Magari ci ripensano.
In questi anni felici e tormentati, l'impianto di Casalecchio s'è fatto almeno le spalle grosse. Schiacciato, fin dalla nascita, dall'impietoso raffronto col Madison di piazza Azzarita, e la sua architettura ideale per il basket, e una storia già profumata di leggenda, ha faticato a entrare nei cuori d'una città che, su abitudini e affetti, è tradizionalista e conservatrice. La periferia non è il centro, ma offriva spazi larghi, che non son solo gli 8.300 sedili, servizi inappuntabili, parcheggi comodi. Per fare il salto ci voleva la storia: è arrivata anche quella, ricca e copiosa. Si può chiamarla casa Virtus, pure oggi che la mensa passa brodini vegetali e non più pernici tartufate. Tifosi fortunati vi legheranno a vita le proprie epopee. Due invasioni da scudetto caldo e fragrante ('98 e 2001, dopo due derby: a Basket City vale doppio), un'Eurolega (2001), pure due Coppe Italia ('97 e '99). E fa storia perfino la dolorosa uscita muta del 5 maggio 2002, quando la Coppa dei Campioni l'alzò il Panathinaikos. Ma pure la Fortitudo ha vinto qui il suo primo titolo, la Coppa Italia '98: e l'unico tuttora alzato a Bologna, fra la sua gente, perché l'attimo dello scudetto 2000 scoccò, materialmente, al PalaVerde di Treviso. Ci hanno corso ciclisti e cavalli. Ci hanno festeggiato il Bologna e la Ferrari. Ci si son fatti concorsi pubblici e convention aziendali.
Nato perché doveva nascere, accanto a tanti altri metricubi edificati, l'impresa bolognese Cogei lo tirò in 26 mesi, aprendolo nel dicembre '93. La prima a giocarci fu la Zinella volley, il primo concertone da esaurito, a gennaio, lo fece Ramazzotti. A febbraio toccò a un concorso ippico, a marzo vennero i primi cesti, ospitando la Lega Basket e la sua Final Four di Coppa Italia (vinse Treviso). Nel '97 l'impianto passa a Cazzola, che chiude con questo colpo di teatro l'estate del riarmo (suo e della Fortitudo seragnoliana): Danilovic e Wilkins, Rigaudeau e Rivers, Sconochini e Fucka, Nesterovic e Chiacig, Frosini e Moretti, mai più visto a Basket City un mercato così. E pensare che due anni prima, per 'non' giocarci una finale scudetto e starsene al PalaDozza, re Alfredo ha litigato in tribuna d'onore con Rosanna Facchini, assessore del Comune di Bologna. Nel 2000, altro giro: uscendo dal basket, Cazzola ne cede il 60% a Cabassi e il 40 a Madrigali. Qui siamo, all'incirca, oggi. La storia più densa è ovviamente intrecciata col basket: casa dell'una e dell'altra, in tempi diversi, le terribili sorelle. La prima ad andarci fu la Fortitudo: era il '95-96, si progettavano grandi espansioni, mentre la Virtus scelse il centro e la tradizione. Avanti poi con tre anni in coabitazione (dal '96 al '99): gli ultimi due con l'Aquila in affitto. Nel '99, fu la Fortitudo, facendo suo il PalaDozza, a coniugare centro e tradizione. Tutto il basket passato sotto questi ponti sono derby splendidi e terribili, come i 10 del '97-98, e i 5 di una finale che andò perfino oltre l'ultimo secondo. Sono l'infinito romanzo cittadino, ma anche 5 Final Four di Coppa Italia ospitata, notti magiche come la Fortitudo contro Magic Johnson o la Virtus contro i Charlotte Hornets della Nba, fino alla tre giorni di Eurolega 2002, per molti incancellabile, e non nel verso previsto.
E poi c'è stata la musica, un elenco stordente di pienoni da tredicimila che, srotolato in dieci anni, fa pure tanta storia del rock. I Take That e Tina Turner, Sting ed Elton John, gli Oasis e Jamiroquai, i Depeche Mode e Carlos Santana, Bruce Springsteen e i Red Hot Chili Peppers, le Spice Girls e i Simple Red di ieri sera. E le grandi firme nazionali, Vasco e Ligabue, Ramazzotti e Renato Zero, Jovanotti e Celentano, Guccini e Dalla. Resterebbero i prossimi dieci anni, allora. Basket, naturalmente, anche se l'estate scorsa pareva finita, prima di veder rinascere una Virtus (anzi, due) e veder arrivare Sabatini ad accordarsi per continuare qui, sotto gli antichi stendardi d'una casa che, in quel momento, ha restituito qualche sicurezza pure ai tifosi, anziché accomodarsi in centro in affitto. «Lo dicevano anche i compagni dei miei figli a scuola - dice Ricci, l'uomo ai comandi -: e adesso che lavoro farà il tuo papà? Non avremmo chiuso allora, fosse andata male, avremmo fatto altro, come altro faremo anche così. Questo è un impianto da aprire di più alla gente, alle famiglie, studiando iniziative. Tanto, al primo colpo, saranno sempre critiche. In dieci anni almeno questo l'ho capito».